Aveva detto che stava per intraprendere un viaggio coast to coast, ma standosene fermo, senza usare alcun mezzo di trasporto.
Ecco, ora il viaggio (e di che viaggio si trattasse l'avevamo capito da un pò) è finito.
Per quanto mi riguarda la sua scomparsa equivale alla perdita di un caro amico, non è un'esagerazione e credo anche che sia così per tanti.
Una persona che ti accompagna per decenni con i suoi scritti e con i suoi programmi radiofonici finisce col diventare parte della tua vita, soprattutto se (il più delle volte) ne condividi le idee ma anche quando (raramente) ne dissenti.
Vittorio Zucconi è stato uno dei più grandi giornalisti italiani del dopoguerra.
Dotato di stile fluente e privo di ogni retorica, i suoi articoli erano veri e propri piccoli racconti che ti aiutavano a connettere i fatti tra loro, richiamando la tua attenzione su particolari che ai più sfuggivano, e cercando sempre di sdrammatizzare il tutto, nei limiti del possibile, con un filo di ironia e senza mai prendersi troppo sul serio.
Le sue corrispondenze dagli Stati Uniti ci hanno quindi raccontato quel grande Paese come nessuno, salvo forse Furio Colombo, è stato in grado di fare.
Dall'America della provincia profonda, arretrata e troppo spesso dimenticata a quella cosmopolita delle grandi città di tutte e due le coste, lo ha fatto evidenziando le buone ragioni della prima e le gravi "dimenticanze" della seconda, vale a dire la miscela esplosiva che ha prodotto il trumpismo, di cui ovviamente pensava tutto il male possibile, ma senza mai dimenticare le gravissime colpe di chi non solo non ha fatto nulla per fermarlo, ma ne ha favorito indirettamente l'ascesa.
Dalle colonne di Repubblica e dai microfoni di Radio Capital, non ha mai smesso di occuparsi delle cose di casa nostra, in prima linea sempre contro il berlusconismo prima e poi il salvinismo ed il grillismo.
Accusato di "comunismo" dai berlusconidi, e poi di filorenzismo e di trombonismo da cabarettisti del giornalismo, personaggi da operetta come i loro beniamini a cinque stelle, tipetti presuntuosi ed ignoranti, simpatici come un granchio nel costume dal bagno come, per dire un nome su tutti, Andrea Scanzi, bacchettava la sinistra italiana senza mai perdere di vista che ricongiungere quell'area al suo elettorato aiutandola, nei limiti del possibile, a recuperare i suoi valori, era l'unico obiettivo perseguibile, per un laico senza illusioni e alieno dalle fumisterie ideologiche.
Chi è incline a credere alla favole o pensa che sei di sinistra solo se hai come obiettivo la conquista del Palazzo d'Inverno, non poteva che vederlo come il fumo negli occhi, ma lui non se ne è mai curato.
Pessimista nella ragione per averne viste troppe nella sua lunga carriera, ma sempre ottimista nella volontà, era anche un grande appassionato di sport, di cui scriveva di tanto in tanto con grande competenza e serietà.
In tempi bui come quelli che attraversiamo, è facile immaginare la canea che si scatenerà sul web rovesciandogli addosso ancora da morto, gli stessi insulti che gli ha riservato in vita.
Ma lui, da dove si trova ora, continuerà a riservare loro le sue battute ironiche, e, quando occorre, il suo sarcasmo e se necessario, come quando proprio veniva tirato per i capelli, il suo disprezzo, come quando invitò l'imbelle Pillon, che continuava a non rispondere alle sue domande, a "togliersi dalle balle".
Addio Vittorio, a te la terra non potrà che essere lieve.
Nicola Purgato
2 commenti:
Memorabili i suoi reportage dopo la morte di Wojtyla
Condivido in pieno il testo della lettera. non sono altrettanto bravo a esprimere i miei pensieri, ma vorrei suggerire di leggere il suo libro Gli spiriti non dimenticano. Il mistero di Cavallo Pazzo e la tragedia dei Sioux. Bellissimo
Posta un commento