domenica 22 marzo 2020

Quel lungo abbraccio a Gianni.

“Ma questo non è il Barcellona!”. Così facesti irruzione nella mia vita, Gianni, la sera del 19 febbraio 1992, nell’intervallo del primo tempo (0-0) di Milan-Barcellona (finale 2-0). Stupore dettato dal fatto che i catalani erano i favoriti (infatti al ritorno si imposero 4-0), però dopo 45’ i ruoli si erano invertiti.

Scarni i preamboli di quella telefonata (aveva mediato il Feticista per i numeri di cellulare e non ringrazierò mai abbastanza Enrico per il regalo), perché non facevano per te. Andasti a ruota libera, anche perché io dovevo ancora riprendermi dalla sorpresa, incantato e stordito. Già, non ci potevo credere.

Quando io non ero ancora Frank (conoscevi il mio nome, ma ti piaceva chiamarmi così), diciamo agli inizi degli anni ‘90, ti scrissi una lettera sulle degenerazioni, allora incipienti, del calcio (orari, colore delle maglie) e la richiesta di radunare in un libro quei “cattivi pensieri” irrinunciabili. Mi avevi risposto, con la firma del mittente sul retro della busta con il logo di “Repubblica”. Solo che, alcuni mesi più tardi, ricevetti una seconda lettera, perché – mi spiegavi – avevi ritrovato in un cassetto della scrivania il mio scritto e, non essendo certo di avermi risposto, colmavi quella presunta negligenza. Un piccolo dettaglio, che fa grande un uomo.

Poi, di giugno, ci incontrammo, conoscendoci finalmente, a Firenze, alla “Repubblica delle Idee”. Prima del tuo dialogo con Cesare Prandelli, allora c.t. della Nazionale e assieme al FS, ci sedemmo ad un tavolino esterno di un bar nei pressi del teatro Verdi. Mentre ti ascoltavo ed era un piacere immenso, mi sorpresi a pensare che stavo veramente seduto con Gianni Mura. E che non si trattava di un sogno. Un mito vivente.

Notai pure che, parlando di Brera, lo chiamavi Lui. Che dolore profondissimo dovette essere la sua morte per te. Tutto poi trasfuso in quel memorabile pezzo che scrivesti da Malta.

Che la prima volta mi fece piangere. Riletto a distanza di tempo pure. E adesso non ho neppure il coraggio di tornare su quella pagina.

Ci salutammo, verso le 19:30, alla fine dell’incontro con Prandelli. E pur sudaticcio, tu più di me, ti abbracciai ancora più forte come se processo osmotico potesse trasfondersi in linfa benefica. Allora si poteva.

Percepivo che mi stimavi. Ti sorpresi (che soddisfazione!) quando ti telefonai – la prima volta – per il compleanno. Non te l’aspettavi e allora ti svelai il piccolo accorgimento adoperato.
C’erano poi le chiamte per gli auguri di fine anno e qualche anticipazione sui “100 nomi” riuscivo a ricavarla. Lo facevi volentieri.

Per ridere approfittavo della “palla di lardo”. Ti divertivi anche tu a “consultarla” e poi scriverne.

Prima di una vacanza estiva mi chiedesti quale fosse il nostro programma. Ti risposi il Cilento e allora mi consigliasti, quasi come fosse una preghiera, la Certosa di Padula che pochi visitavano. O almeno in numero largamente inferiore alla sua importanza e bellezza. Poi cambiammo itinerario, ma quando capiterà ci andrò ricordandoti.

Tifavi per il Chievo, perché simbolo della resistenza delle “piccole” in un calcio che chiaramente non riconoscevi più. Ammiravi papa Francesco, anche lui come baluardo ai “mala tempora”.

Avevi liquidato l’orribile divisa della Nazionale a modo tuo, con poche e definitive parole: un verdetto. “Spero di non vederla più e, comunque, lasciamo stare il Rinascimento”. Già.

Ciao Gianni. Un abbraccio lungo, forte, come a volerti trattenere ancora.

E che la terra ti sia lieve, lievissima, mentre noi rimasti su questa terra ne avvertiamo la pesantezza.
Si allungano le prime ombre del crepuscolo.

Mi permetti, vero, che possa concludere anch’io con una poesia?

“Ognuno sta solo

sul cuore della terra

trafitto da un raggio di sole:

ed è subito sera”.

(Salvatore Quasimodo).

Frank

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