lunedì 23 marzo 2020

"Uno stile sghembo, laterale, periferico, quasi a voler cercare il non detto, il nascosto, l’intimo delle cose" - Ricordi e testimonianze su Gianni Mura.


In ricordo di Gianni Mura, giornalista.

Comincio come iniziasti tu quasi trent’anni fa, per salutare il più grande di voi “Ti sia lieve la terra, Gianni”. 

Perché così si omaggiano i più grandi, e tu, grande, lo sei stato per davvero.

Stamane la notizia è arrivata all’improvviso, aggiungendo tristezza a tristezza, inondando di incredulità e stupore un periodo assai difficile e doloroso già di suo.

Noi non ci siamo mai conosciuti, né tantomeno incontrati o incrociati, neanche per sbaglio. D’altra parte perché avremmo dovuto conoscerci? Tu grandissimo giornalista sportivo, il più grande, capace di fare ombra anche al tuo maestro Brera, ed io semplice ed umile lettore. 

Eppure la capacità che hai sempre avuto di entrare in empatia con il tuo pubblico, con chi ti legge, il talento nel parlare al cuore guardando l’anima, ti ha portato sempre vicino a noi lettori, rendendoti uno di famiglia. Ecco perché mi perdonerai per la confidenza nell’uso del “tu”, con il quale ti saluto: non sembri irriverente, ma coglilo come semplice gesto di profondo affetto ed omaggio per quanto hai dato in questi anni.

Perché di famiglia lo sei stato e lo sei per davvero: leggo e compro Repubblica dal 1976, dalla sua fondazione, e leggendoti costantemente, ho imparato a conoscere il mondo ed a conoscerti: perché i tuoi scritti non si limitano alla cronaca di una partita, non raccontano solo un evento sportivo, ma lo interpretano, permettono di viverlo insieme a te, seduti fianco a fianco, da buoni amici, magari mangiucchiando qualche fetta di salame e sorseggiando, ovviamente, un buon vino rosso (non rose, promesso).

I tuoi Cattivi Pensieri della domenica sono la cosa che leggo sempre per prima nel giornale: è un modo per scrollarmi di dosso alcuni pregiudizi e per rinforzare alcune meditazioni spesso profonde; attesissima anche la tua Intervista al Campionato, di fine agosto, dove, insieme alla tua immancabile palla di lardo, hai sempre sperato di non azzeccare alcun pronostico ma hai sempre centrato le analisi sulle questioni, anche non calcistiche, di maggior rilievo. Stessa cosa per i 100 nomi di fine anno, divisi in tre puntate, dove spesso hai citato personaggi sconosciuti ed improbabili per noi mortali, ma certamente degni di ribalta, spesso capaci di gesti di profonda umanità ed onestà.

Hai cambiato il modo di raccontare lo sport, insieme a quella banda di innovatori che fu la redazione sportiva di Repubblica fra gli anni ’70 ed ’80, capitanata da Sconcerti, Beha, Audisio, Granello e rafforzata dal mentore di tutti voi, quel Gianni Brera, per il quale hai dovuto scrivere il pezzo di saluto il giorno della sua scomparsa: la partita di calcio non è mai stata per te mera cronaca di cross e colpi di testa, ma la scusa per parlare di costume, di politica, di vita sociale, lo sport come metafora della vita, dove si vince (raramente), si perde (spesso), ma ci si rialza (sempre).

Ne sono testimonianza i tuoi reportage dal Tour de France, non so quanti ne hai fatto, che avidamente aspettavo a luglio come si attende una limonata ghiacciata al rientro da una corsa in spiaggia: anche qui niente cronaca spicciola della corsa o della volata, ma piuttosto un modo per raccontare (e farci amare) il ciclismo e il suo parallelismo con l’esistenza umana, con i suoi campioni e la loro luce, con i suoi gregari e la loro fatica, portatori d’acqua, sempre in ombra . Ma anche un modo per trasmetterci il tuo amore per la Francia, per i suoi colori e le sue vallate, per i suoi chansonnier Brel e Brassens (ora posso confessartelo …. che palle!!), per la sua letteratura di nicchia nota solo a te ed a pochi appassionati, ma soprattutto per i suoi vini rossi, i suoi formaggi (meglio per te se freschi e caprini), i suoi patè, le sue carni di selvaggina a cottura variabile.

Il tuo stile inconfondibile, mai urlato, mai strillato, sempre garbato ed attento, ma con una profonda ironia, ha sempre caratterizzato il tuo sguardo sul mondo: non diretto e deciso, con il rischio fermarsi alla prima impressione, ma come piace a me, cioè sghembo, laterale, periferico, quasi a voler cercare il non detto, il nascosto, l’intimo delle cose, che sta nelle retrovie e non si fa mai vedere ma che spesso, anzi, quasi sempre, è la sostanza di tutto.

Se dovessi cercare una definizione, trovo che ti andrebbe a genio quello di “hombre vertical”, anzi, se posso permettermi un pò della tua ironia, meglio quella di “hombre circular”, ma la sostanza non cambia: solida formazione, altrettanto solidi principi basati sulla solidarietà, la giustizia, l'onesta morale (ma non il giustizialismo), l’uguaglianza, la parità sociale; insomma quasi certamente sei uomo di sinistra, ma quanto di più lontano oggi la sinistra è diventata.

Ci mancherai caro Gianni, ci mancherà la tua ironia, la tua educazione, le tue profonde competenze sportive, la tua rubrica sui ristoranti scritta a quattro mani con tua moglie Paola (lo devo a te se ho iniziato a dilettarmi nello scrivere recensioni), i tuoi giochi di parole, la tua poesia, la tua leggerezza, ma anche il tuo profondo rigore.

E rispettando la tua proverbiale riservatezza e sobrietà (influenza delle tue radici sarde?), nessun commiato strappalacrime finale, ma solo un sincero brindisi di cuore con i calici colmi di vino rosso, per chi ci ha raccontato la vita ed il mondo in modo sublime, contribuendo a farcelo amare un pò di più.

Gianfranco Fancello

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