giovedì 2 aprile 2020

"Bel tipo che sei, andartene così, con un mucchio di risposte rimaste in canna" - Ricordi e testimonianze su Gianni Mura.

Bel tipo che sei, andartene così, con un mucchio di risposte rimaste in canna. Era bello domandarti di questo e quello. Fare liste, classifiche, dualismi. Chi è stato il più grande del mestiere, Gianni, secondo te, chi è stato? Io penso, dicesti, che il più grande giornalista sportivo della storia sia una giornalista, e penso che sia Manù. Manù è Emanuela Audisio. Tu mettevi l’accento, altri l’accento non lo mettono, ma insomma è lei. Rimuginavi sul fatto che non gliel’avevi detto mai, ma senza bisogno di dirvelo lo pensavate l’uno dell’altra.

E adesso guarda Manù, proprio Manù, che forza vicino a te e alla tua Paola, lo sai cos’ha fatto? Ha pensato a te, a voi e a noi. Ha fatto in modo che noi da quaggiù stamattina senza poterti vederti ti vedessimo, tu “con il quaderno a quadrettoni, dove annotava i suoi giochi di parole. «Stanotte, ne ho pensato uno: diamante, gioiello extraconiugale»”. Tu che eri “leggero in tutto: con le parole, con i gesti, con i pensieri”. Il tuo computer in ospedale, il tuo salvaschermo (Fréhel), la tua suoneria (“Chants de partisans , una Bella Ciao francese”).

“E aveva un italiano splendido, semplice, nitido. Grande anche la sua generosità, non arrivava mai a mani vuote. Ti stroncava con i riferimenti a canzoni, libri, autori, anche dialettali, ricordi, paesaggi. Ne aveva in abbondanza, per tutto e per tutti. Non era tipo che risparmiasse: sulle bottiglie di vino, sul pecorino di Cugusi («pastore, non agricoltore»), sul pane e salame, sulla musica, sulla letteratura, sulla poesia, sul versare e condividere con gli altri, sullo scassarsi il cuore. Con lui, facevi scorpacciate: di curiosità, di raffinatezza”. 

Tu e le tue parole crociate. Tu e la gente. Manù dice che stavi sostenendo “l’economia locale (quando ancora si poteva uscire) comprando pecorini e vini, della zona e non, contento di trovare il gorgonzola di capra della Latteria sociale di Cameri, lo stracchino di Sabelli e il Cannonau di Pusole. Era rimasto commosso dalla cura con cui nel suo negozio Francesco tagliava a mano il prosciutto: «Vedessi i suoi occhi e la dolcezza della sua mano»”.

Ci ha detto che “al dottore che gli aveva chiesto che lavoro facesse, Gianni aveva risposto: sedentario. Già, come no: con 33 Tour de France sulle spalle e con un premio Blondin (unico non francofono a vincerlo) assegnatogli nel 2015 «per la prosa meravigliosa». Tanto che L’Equipe lo ricorda come memoria vivente della corsa facendo notare che era nato «nel 45 come Eddy Merckx»”. Ci ha detto che “le ultime sere con Paola guardava in tv L’Eredità e sì le parole le sapeva tutte subito, senza vantarsi. Si era spazientito solo alla mancata risposta di chi fosse La canzone di Marinella. Vai a casa, se non conosci De André”.
Ci ha detto che “Paola l’ha vestito con i jeans, una polo, un golf e scarpe sportive. Non era tipo da cravatta, ma era elegantissimo nella sua semplicità da Mura”. 

E poi lo sai Gianni che Manù ci ha fatto piangere, perché oggi a qualcuno toccava, e non è neppure la cosa più dura che le sia toccata, togliere un tappo, come nei film fa Spielberg. 

“Alla fine dei suoi racconti sulle vite degli amici persi scriveva sempre: ti sia lieve la terra. Io invece vorrei che la terra diventasse dura, ferrosa, respingente. Che ci restituisse Gianni che credeva nella libertà e che la poesia è un po’ come la Provenza: non sei tu che ci entri, al chilometro tale, ma è lei che ti viene incontro, che s’annuncia con i colori dei campi di lavanda e di girasole. E che voleva bene alle fisarmoniche appoggiate su una sedia. Diceva che sono l’unico strumento che si dilata. Dimenticava il suo cuore”.

Tratto dal sito Lo Slalom - Il meglio del racconto sportivo scelto e commentato

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