Dice che quando Repubblica lo lascerà a casa continuerà a partecipare al Tour a sue spese scrivendo pezzi per un giornale povero. Dice che quando non potrà più seguire il Tour si sentirà amputato di una parte del corpo (forse di una parte del cuore). Dice che il Tour è la Francia come la baguette, la voce di Édith Piaf, le Gauloises senza filtro e il pastis. Gianni Mura è pioniere del vecchio giornalismo del “colore”, l’ultimo scrittore-inviato al Tour de France che è l’amore della sua vita, oltre alla moglie Paola. «Ma non è gelosa, mia moglie». Ed è l’unico non francofono ad aver vinto il premio Blondin per la sua prosa: «Sì, è un premio molto importante. Blondin era giornalista de l’Equipe e scrittore che ha seguito il Tour per circa 25 anni. Meno occasionale di Buzzati, Pratolini, Gatto. Era proprio una firma. Siccome sono il primo non francofono a vincerlo mi ha fatto piacere. Anche perché era un premio legato alla scrittura. Hanno fatto una cosa carina sul podio: c’era il direttore del Tour, c’era Hinault che mi ha dato il premio, c’era un po’ di gente a batter le mani. Ero contento, ho pensato di essermelo meritato, in fondo. Diciamo che io entro nel Tour quando la macchina parte da Milano, allora mi carico di libri, cd, con l’addetto stampa di minimum fax Alessandro Grazioli. Per entrambi è come andare in ferie».
➣ La prima immagine che ti viene in mente se pensi al Tour è sempre la stessa dal 1967?
«Un campo di girasoli. È la prima immagine che mi aveva colpito sin dal ’67, ero nella zona tra Alby e Tolosa, a sud. Non è come vedere una cartolina. Se sei in mezzo a delle coltivazioni di girasoli che sono lunghe un chilometro, passarci di fianco ti impressiona».
➣ Non è più possibile inviare al Tour o al Giro poeti e romanzieri come negli anni Quaranta e Cinquanta? Potrebbe esser un’ottima idea visto che lo storytelling è particolarmente in voga di questi tempi.
«Credo che i giornali non credano più molto nello storytelling, mentre comincia a crederci la televisione, vedi il successo di Buffa per esempio. Molti direttori non credono più nel pezzo lungo e scritto con un buon italiano perché dicono che la gente non ha tempo di leggere e invece non è vero. Io ho sempre sostenuto che questa fosse una balla, se uno vuole il tempo lo trova. Dipende cosa dai da leggere ai lettori. Non è che ha perso il fascino il racconto, l’ha perso presso quelli che spesso fanno i giornali e decidono come farli. Questo è, purtroppo».
Nessun commento:
Posta un commento