sabato 23 dicembre 2017

Brevi Scarabocchi Natalizi.

Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

Questo articolo di ItaliaOggi (oltre a copiare da PPR il gioco di parole sul cavaliere Gedi: ti leggono, PPR!) auspica che Repubblica rappresenti "quell'Italia moderata e di sinistra che non può votare né voterà mai Berlusconi, che non sopporta l'idea di dover votare Grillo, che non si fida a votare Grasso, ma proprio non riesce a votare Renzi." Ma esiste davvero, quest'Italia? E' l'Italia dell'astensione recente? Che peso ha? Lo chiedo perché rivolgersi a fantasmi sarebbe il colpo finale per il giornale...

Benny

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I FeticisMini di MUDD:

Sfogliando il giornale del 24 dicembre: a pag. 8 la novità "Risponde Umberto Rosso" nel trafiletto Domande&Risposte.


A pag. 10, torna il capolettera Bodoni per evitare la I maiuscola invisibile. Piccola battaglia vinta da PPR.


A pag. 14 ecco di nuovo il punto dopo la città nel blocco firma. Piccola battaglia persa da PPR.


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Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

Caro Pazzo,

chiedo anche e soprattutto a te feticista supremo che cosa si dovrebbe pensare di un titolo presente in primissimo piano sulla homepage di Repubblica che fa spoiler sul finale e dunque rovina la III stagione di Gomorra a tutti coloro che per mille differenti motivi non si sono potuti permettere di seguirla in diretta. Io ne penso le peggio cose, come sempre quando l'interesse per il profitto prevale su quello dei lettori.



Segnalo che peraltro pure il sito del Nemico ha saputo distinguersi a tale proposito in maniera negativa, nel caso con un titolo addirittura grottesco perché, se ho capito bene, secondo quest'altro geniale titolista la segnalazione dello spoiler dovrebbe permettere al lettore di bloccare istantaneamente la lettura in una maniera tale da riuscire addirittura a evitare di leggere la parola e le parole immediatamente successive in un titolo con queste dimensioni.



Da notare che, dopo che ti ho scritto questa cosa, il titolo sulla homepage di Repubblica, è cambiato.
Troppo tardi.

Enrico B.



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Virgoleide:

Venerdì 22 virgola assente nel pezzo di Bologni a pag.8.

Sabato 23 una virgola non appesa salta a pag. 11.

Morale: questa cosa della virgola sta provocando solo errori, è uno di quei casi in cui levare è meglio che aggiungere.

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Necrologi dal cartaceo del 24 dicembre. RIP.


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Il Sole spento (da Twitter).
Ringraziamo Frank per la segnalazione.


venerdì 22 dicembre 2017

Blog a scartamento ridotto. Pure troppo.

Per qualche giorno ci saremo e non ci saremo (meglio la seconda).

Andiamo a ricaricare un po' le pile.

Dal 22 novembre ad oggi è stato intenso. E bello. Anche grazie a voi.

Ci vediamo tra un po'.

ps quello nella foto è il vostro Feticista Supremo che sale sul treno delle vacanze natalizie.

A proposito, auguri.



L'album delle figurine di Marta Signori: Jeremy Corbyn, Natalia Aspesi, Nadia Urbinati (28-29-30).

Proseguiamo la pubblicazione dei bellissimi ritratti di Marta Signori (alias Nostra Signora dei Ritratti) presenti sulle pagine della Nuova Repubblica.




Scarabocchi Spelacchiati del Giorno.

Sul cartaceo di oggi si parla del povero Spelacchio, ma c'è qualcosa che non va nel testo della foto: il messaggio appeso all'albero NON è stato lasciato da un cittadino, ma di un/una turista americana.


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Sempre a proposito di Spelacchio, riportiamo dal numero odierno della newsletter Anteprima di Giorgio Dell'Arti:


Ci siamo volutamente disinteressati di Spelacchio, l'infelice albero di Natale piazzato dalla giunta Raggi in piazza Venezia a Roma, per parlarne a ridosso del Natale. Riassumiamo: di Spelacchio s'è interessato tutto il mondo, il nome Spelacchio è stato inventato da Vittorio Zucconi di Repubblica che, mezzo americano com'è, scrisse però nel suo tweet «Spellacchio» [Zucconi, Rep 21/12]

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La donna dell'anno secondo D di Repubblica è Ilaria Cucchi. Giusto così.


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Dai necrologi di oggi. Ciao Alberto, che la terra continui ad esserti lieve.


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E, nel frattempo, il Corriere si dà da fare con le proposte via email.


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Per concludere in bellezza questi Scarabocchi, riportiamo un articolo apparso oggi su ItaliaOggi firmato da Marco A. Capisani.

DeBenedettiade: il figlio Marco conferma ai giornalisti che suo padre non c'entra più con Repubblica.

Articolo su Italia Oggi di oggi a firma di Sergio Luciano, ex editorialista di economia di Repubblica.

Il figlio Marco conferma ai giornalisti che suo padre non c'entra più con il quotidiano


Carlo De Benedetti e Repubblica
Finisce un sodalizio complesso e contradditorio



Fine maggio '99, interno notte, ristorante Santini di via San Marco a Milano: una lunga tavolata, almeno venti persone, è riunita per un festeggiamento. È appena giunta in porto positivamente l'opa dell'Olivetti di Roberto Colaninno su Telecom Italia. Al centro della tavola, il cosiddetto «ragioniere» di Mantova, appunto Colaninno, artefice dell'impresa.

Alla sua destra, Marco De Benedetti, all'epoca amministratore delegato della Tim, uomo forte del gruppo Telecom; alla sua sinistra Franco Debenedetti, economista liberista ed ex manager. Punto di contatto fra i due: Carlo De Benedetti. Marco, ne è il figlio secondogenito; Franco, ne è fratello. Punto di dissidio tra i tre: Carlo De Benedetti aveva cercato in tutti i modi di osteggiare la riuscita dell'opa Olivetti su Telecom. Convinto - diceva agli amici - che fosse un modo losco di rovinare Telecom, e i fatti gli hanno anche dato ragione; sicuri invece i suoi stessi amici che la vera causa di quella sua ostilità fosse il rancore e il dispetto verso Colaninno, suo ex dipendente alla Sogefi. Sta di fatto che il fratello e il figlio, strafottendosene delle preferenze dell'autorevole parente, erano lì nella squadra festosa e vincente dello scalatore. Ritratto di famiglia in un interno.

La storia si ripete. Solo chi non conosce la storia si meraviglia della lettera che Marco De Benedetti, oggi presidente di Gedi (che non ha nulla a che vedere con Guerre Stellari, ma è solo il brutto nome dato alla società frutto della fusione tra La Stampa e l'Editoriale L'Espresso) ha affidato al Cdr di Repubblica per prendere le distanze dalle dichiarazioni fatte dal padre Carlo al Corriere della Sera contro Eugenio Scalfari e contro Repubblica. In questa lettera, Marco ha affermato, testualmente, che «l'intervista rilasciata da mio padre qualche giorno fa ha generato disorientamento, con riferimento alla posizione della Società nei confronti di Repubblica. Desidero ribadire quanto ho avuto modo di illustrare nella riunione di mercoledì scorso, e cioè (...). Le opinioni espresse nell'intervista non rappresentano né il pensiero degli azionisti, né quello del vertice della Società, che sono tutti determinati a proseguire sulla strada tracciata. Nell'augurarvi buon lavoro, vi invio i miei migliori saluti».

Padre e figlio si sono insomma mandati a quel paese in pubblico. Per interposti giornali.

Che stile. Scriveva Lev Tolstoj che «tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo». Ma felicità e disgrazia sono stati d'animo soggettivi: guai ad attribuirli a chi, probabilmente, vive metriche interiori e valoriali completamente diverse. Anche per questo, la storia del rapporto tra l'Ingegnere, i suoi figli e la Repubblica è tutta da rileggere: e non solo per il vizio della memoria, ma anche per capire dove sta andando e potrà andare il secondo quotidiano del paese, nonché l'unico a essere nato e cresciuto fino alla leadership negli ultimi decenni, per poi restituirla al vecchio sovrano, il Corriere.

De Benedetti fu il taxi che Eugenio Scalfari e Carlo Caracciolo (veri e soli artefici, nell'ordine, del concept e del progetto di Repubblica) scelsero di prendere per farsi portare un passo più avanti.

Quando decisero di vendere all'Ingegnere, nel 1990, con grande cordoglio della redazione e degli amici, ne spiegarono a tutti, le due ragioni essenziali, entrambe (naturalmente oltre a quella primaria di intascare 400 miliardi di vecchie lire). La prima ragione era che consideravano impossibile, per due persone fisiche come loro, reggere, da soli, alla pressione della concorrenza internazionale: vendere era dunque stata una scelta necessaria per consentire a Repubblica di competere ad armi pari nel mercato globale: e nel dirlo, lo pensavano, tanto che acquistarono una quota nell'Indipendent, con mossa costosa e inutile, visto che nessun gruppo editoriale tradizionale nel settore news quotidiane ha mai fatto grandi affari all'estero, e nemmeno ci riuscì la Repubblica.

L'altra ragione era che, vendendo all'Ingegnere, la Repubblica non avrebbe perso nessuna delle sue particolarità. Almeno per sei anni, il periodo durante il quale non avrebbe potuto cambiare nulla, perché i patti parasociali che l'Ingegnere, pur di conquistare il controllo azionario del gruppo, aveva loro concesso, assegnavano ai soci venditori l'ultima parola su tutte le decisioni strategiche, compresa la permanenza di Scalfari alla direzione o la nomina di un suo successore, fino al maggio del '96.

Scalfari spiegò, pressappoco, e chi c'era (come chi scrive) lo ricorda assai bene: «De Benedetti è un cane sciolto, un compagno di strada compatibile con la natura indipendente di Repubblica, perché anche lui, come noi, è refrattario alle cordate, agli incasellamenti, alle cupole ed è abituato a decidere in proprio». Lo diceva e lo pensava sul serio, Scalfari. E riteneva, a buona ragione, che avrebbe potuto agevolmente tenere a bada gli spiriti padronali che bollivano in De Benedetti.

In che modo? Semplice: come fece ad esempio nel '92, quando Repubblica (unica!) scrisse che l'aumento di capitale tentato in extremis dall'Ingegnere all'Olivetti era fallito, perfino forzando un po' i termini della realtà.

Il punto era che il grande giornalista, Scalfari, appunto, abituato ad autodirigersi e a non essere eterodiretto, non perdeva occasione di far capire all'Ingegnere che comandava ancora lui. Non era soltanto questione di ego, di cui pure Scalfari non era affatto carente. Il fondatore diceva, con ragione, che un giornale capace di darsi la linea da solo, all'interno di una cerchia ristretta di persone rappresentate, oltre che da lui, dai suoi amici di sempre e dai capi del giornale stesso, a prescindere dagli interessi degli azionisti, avrebbe sempre avuto un plus rispetto ai concorrenti, di cui, al contrario, la classe dirigente nazionale poteva sempre prevedere (e condizionare!) opinioni e posizioni, conoscendo quelle dei loro padroni.

Di Repubblica, no: nessuno poteva dirlo. E i calci negli stinchi che periodicamente Scalfari mollava ai suoi stessi amici erano lì a testimoniarlo. Ma allora De Benedetti cosa ci aveva guadagnato a investire tanti soldi, e per così tanto tempo, in un'azienda, senza contare nulla? Lui che era sempre stato campione del mordi-e-fuggi, compra, risana (a volte) e rivendi? Ci aveva guadagnato due cose: tutela e spazio di sfogo. Le due cose di cui più aveva bisogno. Spieghiamoci, perché tutto si tiene, a cominciare dalla tutela.

C'è un efficace spot televisivo, nella seconda metà degli anni 80, con cui Scalfari lanciò Affari & Finanza.

Rappresentava, nella prima parte, un giovanotto in eskimo che passava in bicicletta all'edicola e comprava Repubblica. Nella seconda parte dello spot, lo stesso giovanotto, sbarbato e incravattato, parcheggiava l'auto davanti all'edicola e, dieci anni dopo, ritirava Repubblica con Affari & Finanza. La metafora era chiara e vera. Repubblica aveva compiuto il miracolo di prendere per mano, nel 1976, la borghesia italiana di sinistra, quella che votava Pci e apprezzava Berlinguer e disprezzava la Dc e il Psi di Craxi, di accompagnarla al governo col compromesso storico e di riavvicinarla a una piena accettazione del capitalismo e del mercato, precorrendo di qualche anno la Perestrojka e la caduta del Muro.

Scalfari, la Repubblica e il suo mondo avevano sdoganato il più grande partito comunista occidentale proiettandolo verso il potere costituzionale. E in quel Pci di governo si riconosceva una buona metà della magistratura italiana, quella più attiva. Chi era di sinistra, chi votava comunista, leggeva Repubblica; e chi leggeva Repubblica e aveva dalla sua in compenso il Pci, i sindacati e molti procuratori della Repubblica.

È qui che s'innesta il concetto della particolare tutela che De Benedetti s'era procurato, diventato finanziatore (non padrone!) di Repubblica. Quel mondo lì (il potere di sinistra) rispettava il cane per il padrone. Il padrone vero era Scafari, con Repubblica; il cane era De Benedetti. La storia non si fa certamente con i se e con i ma, però, chi può escludere che le sorti giudiziarie dell'Ingegnere (sia per le tangenti alle Poste, che lo videro arrestato all'alba e scarcerato alla sera, che per l'assoluzione in extremis per l'Ambrosiano) non sarebbero state più amare? E poi: non era fisiologico, per lui (bestia nera degli Agnelli, dopo averne ammirato e invidiato in una posizione da condomino di seconda fila, il potere torinese) indossare le vesti del miliardario rosso? Un posizionamento, questo, che gli era valso una corsia preferenziale (in termini di accesso privilegiato a relazioni e dialoghi) nei rapporti col sindacato e essere cane sciolto, nel suo con la sinistra di governo, da Romano Prodi a Massimo D'Alema.

Impossibile e antigienico azzardare stime e pesare questi vantaggi in termini assoluti. Ma è certo che nel suo aver vissuto dentro il «salotto buono» salvo sparlarne ogni minuto, insidiandone fallimentarmente gli assetti, dalla Fiat alla Pirelli, De Benedetti si è molto giovato della sua posizione di coeditore di Repubblica. È stato per lui come avere un alano in giardino: solo pochi cinofili sanno che il bestione non morde, neanche al comando del padrone di casa, se non lo decide lui; e comunque gli estranei, prudenzialmente, girano al largo. La componente sfogo è valsa poi per De Benedetti quasi altrettanto: un uomo che ha sempre vissuto nel rancore, che ha sempre sparlato di chiunque, miracolato dall'opinione pubblica col non averne ricordato sistematicamente la sequela di sconfitte e di figuracce inanellate in tutta la sua carriera imprenditoriale (ma si dovrebbe dire di raider finanziario) non poteva che godere del fatto di essere lord protettore di un giornale che non faceva sconti ai gruppi industriali padroni del Corriere della Sera, del Messaggero, del Sole 24 Ore, del Gazzettino, del Carlino e poi al comune nemico Berlusconi: il quale, se Repubblica non avesse avuto alle spalle De Benedetti e De Benedetti non avesse avuto al fianco Repubblica, avrebbe sgominato entrambi.

Questo è però passato remoto. Tutto cambia, nettamente anche se gradualmente, negli anni Duemila. La nomina del successore di Scalfari nella persona di Ezio Mauro avviene ancora in vigenza dei vecchi patti parasociali, siamo nel maggio del '96 e i voti del fondatore e di Caracciolo, spiazzano l'Ingegnere che avrebbe preferito l'ottimo Giulio Anselmi, risarcito poi con la direzione dell'Espresso e quindi dell'Ansa (Anselmi sarebbe stato un altro errore di De Benedetti, perché si sarebbe rivelato indipendente quanto Mauro).

Ma gradatamente e fatalmente, e nonostante la schiena dritta di Mauro (che però commette l'errore di diventarne umanamente amico, lasciandosi forse sedurre da un certo innegabile fascino intellettuale che l'Ingegnere poteva irradiare su alcuni) De Benedetti negli anni Duemila prende sempre più spazio a Repubblica. Inizia a influenzarne la linea, si mette a far politica, a fare il king-maker anti-berlusconiano, brucia candidati su candidati, da Rutelli a Veltroni, pasticcia con dinamiche che non capisce, sposiziona Repubblica perché protunde sul quotidiano che controlla anziché starsene defilato e lo mutila della sua tradizionale «auto-direzione».

La classe dirigente inizia a osservare le mosse dell'Ingegnere (ad ascoltarne gli sproloqui serali nelle cene romane di via Giulia) per strologare sulla linea futura di Repubblica. E spesso ci prende. La scomparsa di Caracciolo, nel 2008, con uno Scalfari ormai 83enne, apre ulteriori spazi di ingerenza, sempre ipocritamente rispettosa delle apparenze, per l'ex presidente dell'Olivetti. Ma il 2008 è anche l'anno in cui scoppia la crisi: finanziaria, economica, editoriale. Inizia la china, per tutti i media. La pubblicità crolla, le vendite si decimano, l'Internet gratuito (nel quale peraltro Repubblica svetta, per lucida visione non dell'Ingegnere ma del suo amministratore dell'epoca, Marco Benedetto) cannibalizza i prodotti cartacei. Anche Repubblica inizia a perdere lettori, conosce l'onta (transitoria, perché arriva un altro bravo manager, l'attuale a.d. Monica Mondardini) del rosso di bilancio. De Benedetti rimane arroccato alla presidenza. Ma per poco. Arriviamo all'ultimo capitolo, quello del modo in cui, tolstoianamente, la famiglia De Benedetti ha sempre vissuto al suo interno distanze e dissensi profondi.

In quella fase, solo l'Ingegnere parlava bene di Repubblica e usava il futuro a proposito dell'editoria: i suoi figli epigoni, Rodolfo e Marco (Edoardo, buon per lui, fa il medico in Svizzera), tutt'altro. Non perdevano occasione, nei salotti milanesi, per far capire che, fosse stato per loro, quell'asset l'avrebbero venduto subito. Altri anni da allora sono trascorsi, l'Ingegnere ha fatto il passo indietro del vecchio leone, incapace di gestire il tramonto con lo stile e il distacco dei saggi appagati e consapevoli. L'accordo con gli Agnelli, la manageralizzazione crescente del gruppo, e poi l'estrema decisione: dire addio anche al vertice del gruppo editoriale e dare spazio ai figli, certo non per generosità, e forse con il retropensiero che tanto, prima o poi, sarà la famiglia Agnelli, oggi minoritaria, a giocare l'asso pigliatutto.

La recente intervista al Corriere è un monumento al rancore. E stigmatizzando in pubblico, dalla sua posizione e con una cattiveria esagerata, la perplessità che certamente la provocazione di Scalfari («piuttosto che Di Maio voto Berlusconi!») aveva suscitato in tanti, De Benedetti ha lanciato la stampella intellettuale contro il luogo cui tanto deve e contro l'uomo che lo ha tenuto nel giro dei potenti anche quando di altri poteri non ne aveva più alcuno. Giusto (e simmetricamente cattivo, ma con la grande attenuante dell'aver agito per una forte necessità aziendale) il commento del figlio editore: mio padre parla per sé, non ci rappresenta più.

Il necessario oggi è che Repubblica torni a rappresentare qualcuno, come seppe fare, alla grandissima, 41 anni fa, nascendo. Per esempio quell'Italia moderata e di sinistra che non può votare né voterà mai Berlusconi, che non sopporta l'idea di dover votare Grillo, che non si fida a votare Grasso, ma proprio non riesce a votare Renzi.

L'album delle figurine di Marta Signori: Carles Puigdemont, Raffaele Simone, Andy Murray (25-26-27).

Proseguiamo la pubblicazione dei bellissimi ritratti di Marta Signori (alias Nostra Signora dei Ritratti) presenti sulle pagine della Nuova Repubblica.




Feticismi Cartacei del Giorno: il record di Marta Signori e il natalemanhattaniano di Anna Lombardi.

L'apertura sfoglio è dedicata al voto politico in Catalunya, e per il secondo giorno consecutivo copiaincolliamo dai Feticismi Cartacei di ieri:

L'iberico Alessandro Oppes è ancora a Barcellona, con la sua virgola (oggi sospesa) a fargli compagnia.


E nella stessa pagina, per il ben noto e fastidioso caso dell'equivoco grafico che fa sembrare firma il toponimo, Barcellona diventa un inviato di Repubblica.


Il buon Omero Ciai, invece, commenta tutto dal calduccio di Largo Fochetti e senza neppure la virgola a fargli compagnia. Il tutto per la delusione dei suoi fan che lo volevano inviato a Barcellona.


Ad accompagnare il pezzo di OC ci sono tre faccine straordinarie (in tutti i sensi) di Marta Signori, alias Nostra Signora dei Ritratti.


Sommando queste tre, le altre tre nella sezione Mondo, le tre nei Commenti e le otto in Super8, oggi le faccine di NSDR sono ben 17. Record.

Quarta puntata della Quarta Pagina dedicata alla Costituzione Italiana.

Di tutto il gran parlare (giustamente) di voto catalano, a farne le spese è il povero Cacciucco Politico che perde l'apertura sfoglio ma si accaparra comunque sette paginate belle unte.

Unto da cui emerge il Feticismo del gradito ritorno di Gianluca Luzi, già coordinatur delle Reunio.


Dalla sezione Mondo arriva un succoso Feticismo: Anna Lombardi passerà il Natale a New York, tornando così manhattaniana senza più ex. Ma con virgola.

E ci regala pure uno dei tweet del Pianeta Repubblica, che oggi torna su due pagine. Che si decidesse però.



Curiosità dalla sezione Mondo: la notizia del furgone sulla folla a Melbourne è relegato in un trafilettino, che però è datato Roma. Seguito da Italia, per chi non lo sapesse.


Sempre in Mondo torna anche il simpatico orobico Gigi Riva.

La Cronaca ci regala invece un gradito ritorno in Nazionale, quello di di Anna Puricella, inviata a Taranto con virgola.


Chiudiamo con la triste scoperta, dai necrologi, della morte della mamma di Carlo Picozza.

A Carlo va il forte abbraccio di tutti noi di PPR.


Feticismi in Prima Pagina: prove di movimentazione layout.

Oggi piccole prove di movimentazione del layout di prima pagina: la fotonotizia in alto che contiene il titolo che contiene lo Spazio Editoriale.

Altre note.

Il titolone oggi è a centro pagina. Ed è Cacciucchesco, come capita ormai da diversi giorni. Che noia che barba che barba che noia (Cit.)

La fotonotizia, in alto come si diceva, è sul voto politico in Catalunya ed è accompagnato da un titolo che graficamente sembra essere lo Spazio Editoriale, per dove è collocato. SE firmato da Andrea Bonanni.

I veri Spazi Editoriali sono due, e si trovano sotto al titolone e quindi sono Cacciuccheschi pure loro. Li firmano i collaboratores Nadia Urbinati e Roberto Perotti. 

Le Idee, tornano ad essere quattro (dopo la MonoIdea di ieri) di cui due con immagine, la prima è l'automarketta del Super8 di oggi, la seconda è per la QuartaPagina Costituzionalizzata.

La striscia promozionale destra è dedicata a RClub di domani.

Tradizionale fogliettone a tre notizie.

La prima pagina di oggi è stata gentilmente offerta da Caffè Motta, Il piacere quotidiano e dal nuovo libro di Aldo Cazzullo Metti via quel cellulare.

giovedì 21 dicembre 2017

Scarabocchi del Giorno: evviva, anzi no.

Ieri, ore 18, redazione di PPR:

Nella breve a pag. 4 un'altra battaglia vinta (non c'è il buco sotto la città). Ci leggono.


Oggi, ore 10, redazione di PPR:

Nooooooo. Di nuovo il buco. E anche un punto.


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Ci scrive Alebigigher a proposito di uno Scarabocchio di ieri:

Scusate, vi scrivo solo per una precisazione. Siete sicuri che la doppia pagina di giornale con il ricordo di Gianni Brera sia del quotidiano "La Provincia Pavese"? Ve lo chiedo perché quella grafica non mi pare appartenga a quel quotidiano (basta guardare in internet per vedere che ha una grafica completamente diversa), bensì appartiene ai quotidiani del gruppo Sesaab - L'Eco di Bergamo, che comprende anche La Provincia di Como, La Provincia di Lecco e La Provincia di Sondrio. Lo dico perché ci collaboro e so che il progetto grafico è lo stesso (le pagine nazionali, per esempio, sono identiche per tutti i quattro quotidiani e vengono fatte a Bergamo), però, per carità, potrei anche sbagliarmi... Non può essere una delle altre tre "Province" citate? Grazie

Caro Alebigigher: hai ragione, si tratta della Provincia di Como.
Chiedo scusa e correggo. FS

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Oggi è il gran giorno di RFood. In attesa della recensione dell'esperto MUDD, cuccatevi quella chilometrica di Gambero Rosso.


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Il-gazzetta Taljana La Repubblica għażlet lill-ġurnalista assassinata Daphne Caruana Galizia bħala l-persuna tas-sena. Dan tħabbar f’editorjal ta’ Roberto Saviano fuq il-faċċata tal-istess gazzetta.

Il pezzo di Roberto Saviano su Daphne Caruana Galizia va forte anche sui siti maltesi.



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Quei feticisti di Refus, hanno scovato un clamoroso refuso (appunto) in una didascalia a pagina 3 del cartaceo di oggi. 


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Sulla proposta grafica di Filocane, è arrivato questo commento del lettore Calandrino:

Per Filocane: se ne era già parlato ed era stato fatto notare che la cosa la fa già il Fatto quotidiano. E prima ancora la faceva l'Unità. A me sembra che una scritta sopra il titolo sia un orpello tipico di un quotidiano minore. Non mi piace. Ma sentiamo pure altri, tanto si fa per giocare.

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Ci colpisce un titolo sul sito di Prima Comunicazione:



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Ma le note dolorose proseguono: l'amico Loris ci manda un trafiletto apparso su Milano Finanza di oggi.

L'album delle figurine di Marta Signori: Emmanuel Macron, Angela Merkel, Giorgio Squinzi (22-23-24).

Proseguiamo la pubblicazione dei bellissimi ritratti di Marta Signori (alias Nostra Signora dei Ritratti) presenti sulle pagine della Nuova Repubblica.




I VideoFeticismi di Vanni Zagnoli: Emanuele Gamba, il granata che scrive di Juve.

Pubblichiamo il terzo di una serie di video feticistici che il simpatico Vanni Zagnoli colleziona sul suo canale YouTube.

Oggi tocca alla video-intervista del republicone Emanuele Gamba che, pur essendo un tifosissimo del Torino, gli tocca scrivere (quasi ogni giorno) di Juventus.

L'intervista risale all'ottobre del 2015, quindi in alcuni punti può risultare datata.

Altre video seguiranno.

Feticismi Cartacei del Giorno: la Boschi appisolata e l'inserto cucina.

Se sommiamo le 5 pagine della sezione Primo Piano, tutte dedicate al caso Etruria, alle 4 della sezione Politica, il totale delle pagine di Elegante Cacciucco Politico arriva a 9.

Decisamente indigeste. Persino per la diretta interessata Maria Elena Boschi, che non potendone più s'è appisolata.


Terza puntata della Quarta Pagina dedicata alla Costituzione Italiana.

Copiaincolliamo dai Feticismi Cartacei di ieri:

Nella sezione Mondo, l'iberico Alessandro Oppes è ancora a Barcellona, con la sua virgola a fargli compagnia.


E nella stessa pagina, per il ben noto e fastidioso caso dell'equivoco grafico che fa sembrare firma il toponimo, Barcellona diventa un inviato di Repubblica.


Oggi il Pianeta Repubblica torna su una pagina sola.

Da non perdere il reportage africano di Pietro del Re da N'Guermalal (Senegal). La virgola, sospesa,  ringrazia.


Ne L'Altra Pagina tornano i bellissimi disegni di Agostino Iacurci.


Alessandro De Nicola è l'unica faccina di NSDR presente oggi nella pagina dei Commenti. La notizia è che il Diretùr Calabresi non l'ha voluta manco lui.

A pagina 47 arriva l'automarketta di Super8.


Infine segnaliamo il tanto atteso esordio dell'inserto di cucina RFood, di cui parleremo approfonditamente in altro post.

Tuitteide del Giorno.