martedì 31 luglio 2018

Far finta di essere sani (parte sesta).

E come tutti gli anni, alla fine del Tour, ecco il Tour di Cattivi Pensieri.


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Monica ci ringrazia così su Twitter. Onorati.


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Sette anni senza Peppe. RIP.

lunedì 30 luglio 2018

Far finta di essere sani (parte quinta): cartoline, castronerie, traduzioni e tante altre belle cose.

E' finalmente partito il gioco di Repubblica che mette in palio dei viaggi a New York.

E giusto per tenere alta la polemica, la prima domanda del concorso parla di emigranti. Così, giusto per mettere carne al fuoco. Ma non ditelo a Salvini, tanto lui non legge Repubblica.


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Puntuale come ogni anno, ecco la cartolina di Gianni Mura al vostro FS. Un mito. 



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Marco Passarella, su Twitter, ci segnala un doppio errore di Repubblica.it


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Sabato scorso, la nostra amica Monica è tornata a tradurre, per Repubblica di carta inserto Fuoricampo, gli articoli del Paìs.


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Ancora su Twitter, Vasco ci segnala un altro errore di Repubblica.it


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Proseguiamo con gli errori, stavolta sul cartaceo. Ce li segnala il nostro amico Fabio P.

Il primo è da Robinson di due domeniche fa, a pagina 8. Valerio Mastandrea si scrive senza la prima erre.



Il secondo è su Repubblica di ieri: il nome completo di Maria Gallone è Maria Alessandra Gallone, lei ci tiene. 


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Sull'ultimo numero dell'inserto meheghino TuttoMilano, Paolo Berizzi nella sua bella rubrica Rebelot confessa di essere un tifosissimo dell'Atalanta. Bel feticismo.



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Nel film Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino, il papà del protagonista a un certo punto sfoglia il Corrierone. Il film è ambientato nei primi anni ottanta e nel titolo si parla di Governo Craxi.


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Chiudiamo con una segnalazione che l'attento Saverio Lombardo ci ha inviato sulla nostra pagina  Facebook:

Da Prima Comunicazione - Bernard-Henri Lévy, filosofo e saggista francese nonchè editorialista del Corriere della Sera ha deciso, dopo 35 anni di collaborazione, di lasciare il quotidiano Rcs e passare da domani a La Stampa. Il giornale edito da GEDI e diretto da Maurizio Molinari che oggi si è assicurato un’altra prestigiosa firma, quella di Tahar Ben Jelloun, scrittore, poeta e saggista marocchino che interrompe la collaborazione con Repubblica.

giovedì 26 luglio 2018

Marchionne sui cartacei.

Repubblica

Nessun titolone urlato in prima, ma solo un titoletto centrato sotto la testata (tipo quello di ieri sui roghi in Grecia) come da disposizioni dall'avvento della Nuova Repubblica.



Editoriale (che sfocia nelle prime due pagine di sfoglio) del Diretùr Mario Calabresi: Marchionne, l'uomo che viveva di lavoro.

In tutto 6 paginate (copertina esclusa). Neanche tante.

Stralci di vecchie interviste.



Contributi di Paolo Griseri, Francesca Bolino e Valerio Berruti.

Sandro De Riccardis è andato a Zurigo, dove Marchionne è deceduto. Nessuna traccia invece di Crosetti, in Svizzera nei giorni scorsi. Anzi sì. Crosetti ha preferito andare a Vinovo, ad attendere l'arrivo del Messia.



Marco Mensurati è volato a Detroit,  dove c'è commozione tra gli operai della città dell’auto.

Bucchi fa la vignetta su SM.



Necrologi. RIP.


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Corriere

Faccione di SM in prima.



Giusi Fasano inviata a Zurigo. Bel ritratto firmato da Aldo Cazzullo: "La fine tragica nel solco degli Agnelli".

Anche in via Solferino 6 paginate (copertina esclusa). Neanche tante.

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Stampa


Faccione e titolone. La Stampa è di Torino, che pensavate?


Editorialone del Diretùr Maurizio Molinari: Pioniere del nostro tempo.

Alberto Mattioli inviato a Zurigo. 

Le paginate qui sono 7 (copertina esclusa). Sempre per quel discorso che La Stampa è di Torino.

mercoledì 25 luglio 2018

(Stancamente) qualche feticismo di oggi: Marchionne, incendi in Grecia e l'Italia ridotta all'osso.

(Stancamente) qualche feticismo di oggi. Ma solo parole e pochissime foto.

Intanto, nel momento in cui scriviamo, apprendiamo della morte di Sergio Marchionne. RIP. Che la terra gli sia lieve.

Marione ha tuittato questa cosa.


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Oggi sui cartacei.

Repubblica

In prima, chi si aspettava foto di roghi e fuochi, si deve accontentare di una montagna di macchine bruciate. Bella scelta, per comunicare la tragedia degli incendi in Grecia. Il Corriere il fuoco ce l'ha, (in prima). Per dire.


Per Repubblica in Grecia c'è Pietro Del Re, inviato a Mati, vicino ad Atene (incipit "Yorgos ha la faccia da minatore, lustra di sudore e nera di fuliggine."). Se ne parla già in apertura di sfoglio, per tre paginate, le cui prime due sono integralmente firmate da PDR.

E nella terza c'è una bella infografica, ovviamente non firmata, che spiega bene cosa è accaduto e dove.



Ellekappa ridisegna l'Italia che da stivale diventa osso.


Segnaliamo il ritorno in Nazionale della meneghina Valeria Cerabolini, già responsabile dell'inserto TuttoMilano, che ha assistito all'inaugurazione del flagship store della Apple a Milano.


Gianni Mura, inviato al Tour, si legge sempre volentieri.

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Gli altri giornali

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Corriere

In prima foto di fuoco, come si diceva.

Anche il Corriere ha un inviato a Mati. È Virginia Piccolillo (incipit "Correvano con le infradito"). E le paginate sui roghi sono 4, una in più di Rep. A pagina 4 c'è una foto gigantesca.

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La Stampa

In prima niente fuoco. Ma La Stampa è Gruppo GEDI. Quindi va così.

Anche La Busiarda ha un inviato a Mati. È Letizia Tortello (incipit "Mati è il villaggio degli spettri"). E le pagine sono 3. Quindi vince il Corriere per 4-3 e 4-3.

martedì 24 luglio 2018

Varie ed eventuali.

Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

Caro Pazzo,

levami una curiosità. La persona per cui la redazione bolognese è un cesso intasato di merda è per caso l’autore del pezzo del “Secolo d’Italia”? O un semplice, e non attentissimo, ammiratore?

In ogni caso, fagli sapere che, da questa redazione, nessuno si è rivolto al papà della Bergonzoni, ma è stato lui a scrivere una lettera alla redazione e a chiedere che venisse pubblicata. Da quella lettera è scaturito un (prevedibile) dibattito, finito pure sulla prima pagina del Corriere della Sera.

Saluti. Anonimo Bolognese

Caro AB,

l'autore del pezzo è Massimiliano Mazzanti. FS

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Cose Twittanti.

Filocane ci segnala dall'inserto economico del Corriere che il premier é diventato Antonio Conte.



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E poi due cose segnalate da Loris C.


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lunedì 23 luglio 2018

Varie cose per dare un segnale.

Piccoli feticismi di domenica 22 luglio:

Era il triste giorno con le notizie su Sergio Marchionne, a cui vanno i nostri migliori auguri.

D'obbligo il titolone in prima.


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Sei paginate in apertura di sfoglio. E il Crosetti che prende baracca e burattini e vola a Zurigo all'ospedale dove è ricoverato Marchionne.


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Da non perdere il pezzo dell'EMerito Ezio Mauro.



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Voltiamo pagina. La ex-manhattaniana Anna Lombardi si riconferma tale fino a nuovo ordine.


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A Pag.16 Federica Angeli si deve occupare, per una volta, di qualcosa di diverso del clan Spada. Ma forse è qualcosa di peggio: l'omofobia.


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L'ex terrasantista Alberto Stabile è a Favignana. Vacanza?


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Dai Social:

L'attento Saverio Lombardo ci segnala questo articolo apparso sul Secolo d'Italia del 20 luglio scorso:

Caro direttore,
fazioso lo è sempre stato, ma almeno un tempo “La Repubblica” era un “fazioso signor giornale”. Ora, se non dappertutto certamente nella redazione di Bologna, l’informazione del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari sembra ispirarsi a “Uomini&Donne”, agitando polemiche da “Isola dei famosi”, più avido di “followers”, piuttosto che di lettori. Com’è noto, il “politico forte” della città, in particolare dopo le recenti elezioni, è Lucia Borgonzoni che, quanto meno nel circuito mediatico, ha soppiantato anche tutti gli esponenti del Pd – che pure restano espressione della maggioranza relativa dell’elettorato petroniano – e chiunque altro nell’opposizione (che, poi, potrebbe non essere più nemmeno tale, guardando ai dati i Imola del mese scorso). Dunque, ci sta che sia diventata il bersaglio preferito de “La Repubblica” e che da quelle colonne venga puntualmente bersagliata da quando, due anni or sono, sfidò l’attuale sindaco Virginio Merola, risultando sconfitta, ma con un’ottima performance politico-elettorale alla guida dell’intero Centrodestra locale. Quel che non ci sta – ora come allora – è che lo strumento privilegiato per insultare la Borgonzoni sia regolarmente il padre della stessa. Oddio, che alle comunali fosse una notizia che il padre non avrebbe votato per la figlia – per quanto sia bizzarro rendere pubblica questa scelta in cui privato e politico si mescolano in modo, per di più, non chiarissimo -, volendo, si può pure ammettere; quel che non è concepibile è rivolgersi nuovamente al signor Giambattista Borgonzoni – architetto tra le decine di migliaia di architetti italiani – per alimentare la grottesca polemica montata ad arte – sempre da “La Repubblica” – sulla presunta scortesia che la neo-sottosegretaria ai Beni culturali avrebbe riservato al cardinale di Bologna, Matteo Zuppi, allontanandosi anticipatamente da un convegno sull’immigrazione, poco prima che proprio il porporato prendesse la parola per difendere il diritto dei migranti d’invadere il nostro Paese fuori da ogni regolamentazione. In primo luogo – lo si ricorda a beneficio di chi non ha seguito la “querelle” -, perché la Borgonzoni non è stata affatto scortese col cardinale, essendosi allontanata – per ottemperare ad altro impegno istituzionale programmato – all’orario preventivamente indicato e che le ha impedito di ascoltare Zuppi solo perché questi, sempre per altri precedenti impegni a sua volta, era giunto in ritardo nel luogo del convegno dibattito. Forse, a voler far la punta alle matite, si potrebbe rimproverare alla Borgonzoni d’aver accettato un tale invito in un giorno denso d’appuntamenti; ma è certo che, se avesse rifiutato, il tono degli articoli de “La Repubblica” non sarebbe cambiato di molto, visto quello che è comunque successo: avrebbero accusato la leghista di “snobbare” il prelato, oppure di aver paura del confronto con un così autorevole esponente della Chiesa. In secondo luogo, perché rivolgendosi al padre, il quale ovviamente ha lungamente discettato sull’errore della figlia, si è tentato di trasformare l’incidente in una sorta di “esempio di maleducazione”, col genitore che “bacchetta” la figlia, quasi si trattasse non di una polemica politica, ma di una questione adolescenziale di buone maniere. Per di più, col cattivissimo gusto – poiché la cosa è risaputa – di contrapporre a una figlia il padre che, da quando la ragazza di oggi era solo una bambina di sei anni, come lei stessa è stata costretta a ricordare pubblicamente, si è volontariamente allontanato da lei e dalla famiglia, perdendo così, di fatto, proprio il diritto a fare “concioni” di tipo moralistico. È “roba” da giornale serio, tutto ciò? Per non parlare, poi, dell’immancabile “appello” degli “intellettuali” che – dopo aver sollevato l’inutile polemica e dopo averla gettata nel tritacarne dei “social” -, hanno gridato allo scandalo e si sono pubblicamente contriti, battendosi il petto e indossando virtuali e catartici cilici, per qualche “scostumato” commento con cui, nei vari “post” della vicenda, alcuni leghisti avevano difeso la loro esponente. È “roba” da opposizione seria, tutto ciò? Quel che è certo, è che se la Borgonzoni, da tre anni a questa parte, non è più riuscita a leggere un “libro d’evasione” – e non a “non leggere un libro”, come hanno scritto capziosamente i giornali, distorcendo le parole del sottosegretario a Radio 1 -, certamente i suoi avversari, dentro e fuori la redazione bolognese de “La Repubblica” di tempo ne hanno avuto e tantissimo per guardare la televisione e per adeguare i livelli del loro linguaggio e della loro intelligenza ai programmi-spazzatura, tanto del pomeriggio che del prime-time.

mercoledì 18 luglio 2018

Far finta di essere sani (parte quarta).

Subito la bellissima vignetta di oggi di ellekappa.

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Ciao Pazzo, ti segnalo un passaggio del pezzo di Giuliano Foschini a pagina 40 di oggi: se non ho capito male c'entra lo stadio.

Fabio P.


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Botta e risposta a pag. 11 di oggi. Ricordando quando TB era dei nostri. Sigh.


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Segnaliamo infine un articolo apparso su Italia Oggi di ieri in cui Marco Travaglio racconta la sua esperienza a Repubblica e di come si stancò perché "lo tenevano nascosto".

Più sotto riportiamo il testo integrale del pezzo firmato da Gianfranco Ferroni.



«Faccio il giornalista perché sono un rompicoglioni. Giornali che rompono i coglioni, però, ce ne sono pochi. E io non mi sono mai sentito di sinistra, neanche prima, neanche quando mi scambiavano per uno di sinistra perché facevo le battaglie contro Berlusconi»: parola di Marco Travaglio. Paolo Mieli, grazie alla strategia del ragno, ha colpito ancora, in quel di Spoleto, durante il festival grazie all'organizzazione di Hdrà, intervistando il direttore del Fatto Quotidiano, presentato dal patron Mauro Luchetti come il direttore del Foglio, invece che del Fatto Quotidiano, provocando l'ilarità generale: la partenza è stata dedicata al karaoke, vera passione di Travaglio.
Questo il suo racconto: «Un grande mio amico mi portò un baracchino che proiettava sulla parete i testi delle canzoni, ci siamo divertiti molto quella sera e allora io geloso marcio di questo mio amico ho voluto comprare anche io un arnese per il karaoke insieme a un collega, Alessandro Ferrucci. Poi abbiamo cominciato a raccogliere le truppe per vederci ogni tanto, e poi è diventato un appuntamento settimanale fisso che si fa a casa di qualcuno, soprattutto di una nostra amica ristoratrice, Paola (Sturchio, ndr), del ristorante La Barchetta di Roma, a volte a casa sua, a volte anche a casa di altri, è ormai una tradizione di ogni settimana».

Mieli non sta più nella pelle: «Ma tu canticchiavi? Da dove ti viene questa passione?», con Travaglio disponibilissimo: «Sì, mi è sempre piaciuta la musica, mi è sempre piaciuto cantare, ho fatto due anni di pianoforte che adesso mi consente di fare qualche accordo». «Secondo me parleremo solo di questo», sibila Mieli, aggiungendo: «Ma tra i tuoi cantanti preferiti c'è Renato Zero, è possibile?», e Travaglio non si tira indietro dicendo che «Zero è quello che riesco a cantare meglio. La canzone che canto meglio è Baratto, però ce ne sono anche altre. Io in realtà da ragazzo vinsi una coppa di karaoke estivo in un villaggio turistico a Rodi Garganico per aver cantato una canzone molto seria, La donna cannone di Francesco De Gregori».

Mieli non molla la presa, evocando la canzone: «Ma è difficile, difficilissima. E siccome anche tuo figlio si occupa di musica, quindi è chiaro che c'è qualcosa. Ma canti sotto la doccia, mentre guidi, mentre altri guidano?», e Travaglio non nega nulla: «Sì, mio figlio fa il rapper quasi professionalmente. Sì, canto sotto la doccia e mentre guido, quando altri guidano chiedo il permesso».

Mieli apre il capitolo della Raffa nazionale. E Travaglio confessa: «Da bambino ero innamorato pazzo di Raffaella Carrà, perché oltre che bravissima era anche bellissima». Mieli, prontissimo: «Ma lo è ancora adesso». Travaglio è costretto a mettere rapidamente una pezza: «No, io dico quando ero piccolo è stata una delle prime donne di cui mi sono innamorato guardando la televisione, insieme a Nadia Comaneci, alle famose olimpiadi in cui esplose, e a Heather Parisi. Mi piaceva proprio, ogni tanto ci sentiamo: Boncompagni rivelò in televisione da Fabio Fazio che l'aveva sempre considerata una democristiana e invece l'aveva scoperta a leggere di nascosto il Fatto Quotidiano. Che la Carrà legga il Fatto Quotidiano per me è un onore, la adoro».

Contentissimo, Mieli allarga l'orizzonte: «Poi il secondo grande successo della vita di Travaglio è professionale, nel senso che è un grande giornalista, lo conoscete, ha messo su dieci anni fa un giornale in un'epoca in cui la crisi della carta stampata era iniziata e questo giornale ha incontrato i favori del pubblico, è andato in attivo, ha guadagnato e ha fatto guadagnare e adesso si quoterà in borsa. Credo che dopo la fondazione di Repubblica con Eugenio Scalfari sia un esempio riuscito di successo nella storia della stampa italiana di questo dopoguerra».

«C'era anche il Giornale di Montanelli», prova a contestare Travaglio. Mieli rintuzza subito l'uscita di Marco: «Si però il Giornale di Montanelli, che era diretto dal più grande giornalista italiano, senza dubbio, ha avuto bisogno continuamente di rifinanziarsi. Per noi che lavoriamo dietro le quinte queste cose contano.

La vera difficoltà è dopo il successo iniziale, l'ubriacatura della prima sera, tra l'altro tu l'hai conosciuta come giornalista della Voce: al quinto giorno sei sceso moltissimo e dopo due mesi si inizia a parlare di chiusura, bisogna andare a cercare aiuti economici da altri. Questo esempio del Fatto verrà ricordato: strano però che la gestazione sia passata per un lungo itinerario, e che non sia stato fagocitato immediatamente da Repubblica tutto questo percorso, tu a un certo punto hai anche rifiutato di entrare a Repubblica, come me lo spieghi? Contro Berlusconi condividevate toni e aggressività in questa battaglia, ma come mai Repubblica non ha fatto quello che qualsiasi, o voi non avete accettato che fosse fatto, di diventare una parte di Repubblica, la punta di diamante di Repubblica, perché no? Non mi trattare male».

Travaglio premette: «Preciso che dopo aver lavorato da ragazzo al Giornale di Montanelli, poi averlo seguito alla Voce purtroppo per due anni soltanto, poi essere rimasto disoccupato per tre anni, fui assunto da Repubblica alla redazione di Torino, direttore Ezio Mauro, e lì mi tennero un po' nascosto per tre anni finché al quarto mi stufai e me ne andai. Non posso dirmi di essermi trovato bene a Repubblica».

Mieli coglie l'attimo: «Secondo te perché? Tu nel frattempo cominciavi a collaborare all'Espresso. Perché venivi tenuto in un posto marginale?» Travaglio puntualizza: «All'Espresso mi trovavo benissimo con Claudio Rinaldi e Giampaolo Pansa. A Repubblica mi trovavo malissimo: penso dipendesse dal fatto che non ci siamo mai presi, non caratterialmente, nel senso che io non appartengo alla chiesa della sinistra e Repubblica è un po' una chiesa e un po' un partito, sentivano che non ero controllabile, che non ero disponibile. Io non ho mai pensato fra l'altro che Berlusconi sia di destra, non c'entra niente, fa affari, una cosa diversa dalla destra e dalla sinistra. Io ce l'avevo con Berlusconi perché faceva delle cose che non condividevo. E invece a Repubblica ce l'avevano con Berlusconi perché non era di sinistra, perché era il principale avversario della sinistra e perché la batteva, la sinistra. Perché era una questione di principio. Questo fatto di essere pregiudizialmente schierati con una parte politica a me non è mai interessata.

Ricordo che le frizioni nascevano ogni volta che c'era qualche scandalo che coinvolgeva la sinistra, era molto difficile far passare articoli sugli scandali che riguardavano la sinistra, mentre era molto facile far passare quelli che riguardavano la destra. Dato che io facevo la cronaca giudiziaria non mi importava di destra e sinistra, per loro non tanto. Questo ha creato queste incompatibilità, poi io non sono uno che va a lamentarsi, io se non mi trovo bene in un posto me ne vado.

E quindi me ne sono andato. Fortuna ha voluto che quando me ne sono andato fosse nato un giornale stranissimo che si chiama l'Unità, che tutti direte 'vabbé è il giornale della sinistra', no, in quel momento era stato rieditato dopo il fallimento come giornale di partito da un gruppo di imprenditori capitanati dall'editore Alessandro Dalai di Baldini e Castoldi, il quale aveva nominato direttore e condirettore due persone che curiosamente non avevano mai votato Pci, e cioè Furio Colombo e Antonio Padellaro, e quindi mi chiamarono».

Mieli, al volo: «Tu li conoscevi già?»

E Travaglio risponde: «Io conoscevo Padellaro, io collaboravo con l'Espresso di Rinaldi, e Padellaro era uno dei suoi vice. E quindi Rinaldi che era un po' il consigliere occulto dell'Unità di Padellaro e Colombo gli disse 'perché non prendete Travaglio che non si trova bene a Repubblica'? E quindi iniziai una rubrica che si chiamava Bananas, perché era il periodo di Berlusconi, insomma in omaggio all'ideale organizzatore dello stato libero di Bananas, che facevo tutti i giorni, e così sono andato avanti per qualche anno, fino a quando il partito che aveva inizialmente accolto molto felicemente la nascita del giornale che il partito aveva chiuso, rendendosi conto che quel giornale poteva essere molto importante e fare anche molta opinione (l'Unità di Padellaro e Colombo vendeva 50-60 mila copie, aveva una linea completamente diversa da quella della sinistra, la sinistra è sempre stata consociativa, almeno negli anni di Berlusconi, mentre quello era un giornale che veniva definito girotondino perché menava, menava a destra e menava a sinistra, e io poi in particolare)

Padellaro e Colombo credo si siano sentiti chiedere ogni volta da Fassino e dagli altri di licenziarmi, non lo fecero, fu fatto fuori Colombo, fu lasciato Padellaro e poi fu fatto fuori anche Padellaro, a quel punto ci siamo guardati in faccia con Antonio e abbiamo detto: «Vabbé, forse un po' bravini lo siamo, forse un po' di pubblico ce l'abbiamo, non abbiamo più un posto dove andare, quindi forse è il caso di provare a vedere se si riesce a fare un giornale libero, un giornale che non prenda ordini da nessuno e che non abbia editori. E allora abbiamo incontrato due manager molto bravi, una molto giovane, che è Cinzia Monteverdi, che è l'attuale nostro amministratore delegato che ci sta portando in borsa, e l'altro manager, molto bravo anche lui Giorgio Poidomani, facendo dei calcoli ha stabilito che si poteva sopravvivere semplicemente con i soldi dei lettori in edicola e degli abbonati.

A quel punto nacque la domanda: come fare a sapere quanti sono i lettori e gli abbonati interessati, prima di fare il giornale? Perché comunque c'è un break even, un punto di pareggio, sotto il quale non si può andare se no non si parte neanche o si fallisce dopo una settimana. E allora ci venne d'idea di dire: se volete questo giornale e vi fidate di noi, sulla fiducia, fate un abbonamento. Se poi noi riusciremo a fondare questo giornale ci teniamo i soldi del vostro abbonamento, se non ci riusciamo ve li restituiremo.

Così 15 mila persone versarono il loro abbonamento sulla fiducia, senza mai avere visto il Fatto Quotidiano, perché la cosa accadeva nell'estate del 2009, e noi siamo usciti il 23 settembre, sicuri dello zoccolo duro dei 15 mila abbonati, in aggiunta alle 35-40-45 mila persone che ogni giorno lo comprano in edicola».

«Una cifra davvero enorme, con dei costi agili», dice Mieli, pensando a un pallottoliere. Quindi a Travaglio tocca parlare della Rai: «Qualcuno ha scritto che con il nuovo governo io sarei diventato il direttore del Tg1, ma se mi offrissero questo accetterei un contratto di 24 ore con licenza assoluta di licenziamento per tutti i raccomandati. Le nomine per legge spettano ai partiti: spero solo che siano persone competenti e che poi si faccia come alla Bbc, dove può capitare che il direttore si scontri con il premier, eliminando la legge Renzi, che ha peggiorato la legge Gasparri. Mi piace, però, l'idea di Milena Gabanelli come direttore del Tg1». Dopo Travaglio, a Mieli tocca intervistare la Carrà.

martedì 17 luglio 2018

Far finta di essere sani (parte terza).

Ancora qualcosina, giusto per continuare a pubblicare due robe e far finta di essere ancora vivi (e sani). Semi cit.

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Il buon Paolo Berizzi, che dovrebbe essere esperto di estrema destra, scrive su Repubblica di oggi che 88 è "acronimo" di ss. Invece, essendo la H l'ottava lettera dell'alfabeto, sta per Heil Hitler.

Fabio P.


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Un paio di settimane fa mi ha scritto il mio amico MUDD raccomandandomi di non perdere per niente al mondo il nuovo numero di Origami, il bellissimo inserto pieghevole settimanale della Stampa.


Aveva proprio ragione.

Tra le tante belle cose, spiccano un'estratto di Gianni Brera da Il più bel gioco del mondo; uno strepitoso carteggio tra Giovanni Arpino e Osvaldo Soriano (che tanto piacerebbe a Gianni Mura) in cui lo scrittore argentino svela ad Arpino di aver visto giocare quello che diventerà il più grande giocatore di sempre: Diego Armando Maradona; un bel pezzo di Giulia Zonca in cui si parla di Cristiano Ronaldo un attimo prima che firmasse per la Juventus; e tantissime altre cose da leccarsi i baffi.

Grazie MUDD. FS





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E parlando di Origami, come non parlare anche di Fuoricampo, il nuovo inserto sabatino di Repubblica che raccoglie i migliori articoli del giornalismo europeo tratti dai quotidiani del consorzio LENA. Sotto la presentazione del Diretùr Marione Calabresi.


Solito elegante esercizio grafico di Francesco Franchi, figlio delle altre cose da lui firmate per largo Fochetti. E gli immancabili ritratti di NSDR in uno stile leggermente diverso dal solito. Ma sarà lei? Perchè non c'è la firma da nessuna parte.



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Chiudiamo con una cosina fresca fresca da Twitter. E comunque, giù le mani da MichelOne nostro.

Far finta di essere sani (parte seconda).

Ancora qualcosina, giusto per continuare a pubblicare qualcosa e far finta di essere ancora vivi (e sani). Semi cit.

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Ci scrive un pipierrino da Como:

Hey Pazzo,
ma hai visto la rubrica (con foto) della moscovita Rosalba Castelletti sul D di Repubblica?
Ti mando foto.
Ciao, Alessandro.

Caro Alessandro, secondo te ci era sfuggita?
FS


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Solidarietà totale a Salvatore Merlo e al Foglio, vittime di una inaccettabile campagna denigratoria.


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Due feticismi da Repubblica del 14 luglio scorso:

la faccina di Dostoevskij disegnata da Nostra Signora dei Ritratti Marta Signori (per un articolo molto confuso di Pietro Citati) e il GIANNIMURA TUTTOATTACCATO. Non si fa, specialmente con i maestri.



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Riportiamo un passaggio dell'Evening Post di ieri (non il giornale, ma la bella newsletter de Il Post di Luca Sofri).