lunedì 17 dicembre 2007
Su Repubblica.it Vittorio Zambardino celebra il decimo anniversario della nascita dei blog.
BLOG di Vittorio Zambardino
I miei fratelli e colleghi di Repubblica mi chiedono se ho da dire qualcosa sui 10 anni di blogging. Non ne ho, voglio dire, non sento di aver cose particolarmente originali sul piano teorico. Piutttosto credo che possa interessare come il blogging attraversa la strada di uno che si è occupato di web, di giornali on line, e, prima, di “telematica” (uh!) dal 1991.
All’inizio fu solo “Pugnette” - Nel 1997 non avevo ancora intercettato la novità. Era l’anno in cui facemmo Repubblica.it, non c’era assolutamente il tempo di mettere la testa fuori dall’acqua della quotidianità: chi non c’era non può capire cosa significò lanciare e poi tenere in piedi un’impresa sulla quale, giustamente, erano investite risorse marginali. L’argomento mi era presente in negativo: per l’impazzimento cui ti portavano i sistemi editoriali dell’epoca. Più tardi ne usammo uno che si chiamava Vignette. Ai redattori (quelli di Kataweb, era il 1999) lo ribattezzarono rapidamente “pugnette” (da leggere “pugnètt”).
Dal cartoccio del pesce… - Ma seguivo già (da tre anni) il lavoro del Consorzio News in the Future del MIT Medialab. E’ paradossale ma è così: lì il tema era proprio - come dice John Maeda nel link qui sopra - personalizzare l’informazione. Attenti: oggi sembra banalità, ma parliamo di anni in cui ci si collegava a 2400 e l’idea dell’informazione personale era moooolto lontana da qui. Il web era una vetrina, per i giornali una rotativa elettronica sulla quale stampare.
Eppure il programma “Fishwrap“, lanciato da Walter Bender, proprio quello voleva dire: informazione alla quale dai contesto: dai il luogo, dai le coordinate del tuo interese, dai la cornice dei fatti connessi. Era il 1996 quando ne sentii parlare: mi sembrò una meraviglia, ma la sfasatura tra la tecnologia al MIT e la pratica quotidiana in questo paese erano troppo grandi.
Quando una cosa non puoi farla, finisci per dimenticarla. Del resto si dimenticano i grandi amori, perché uno non dovrebbe dimenticare le buone idee? Ma resto convinto che non sia un caso se Walter Bender è passato dalla direzione del MIT a quella del programma “Un computer per ogni bambino”, in collaborazione con l’ONU. In quella sua scelta c’è quel senso di computing (e di hacking) libertario e democratico che è alla base di tante cose e scelte che si compiono da quella parte del mondo.
Ai capelli bianchi - Va be’, andiamo avanti, sarà stato il ‘98 e al Medialab ne tirano fuori un’altra: si chiamava Silver Stringers. Era semplicemente un sistemino editoriale per permettere agli anziani di una comunità del New England di raccontare le proprie memorie, collegandosi l’uno alla pagina dell’altro e senza muoversi da casa ma discutendo continuamente in modo “redazionale”. Coordinava il progetto Jack Driscoll, ex direttore del Boston Globe e all’epoca collaboratore “residente” e quindi coinvolto nel lab.
Poi la fragola… Quella volta la luce in testa si accese subito perché le cose stavano cambiando anche qui da noi, era il ‘99, c’era il boom del web 1.0 e risorse da destinare. Mia nonna, che era di origine lucana, diceva che “Quanno tiene la panza chiena, pura la capa arret’ te vene” (Quando hai la pancia piena, anche la testa segue il tuo pensiero). Il progetto di Silver Stringers si trosformò in una piccola ma validissima piattaforma per permettere a migliaia di classi scolastiche di fare il loro giornalino. Un successo che solo da poco è andato in pensione. Era in tutto e per tutto una piattaforma blog, ma noi non ne usavamo ancora il nome. Della Fragola ha poi parlato Dan Gillmor in We the Media.
Io e loro-blog - Personalmente ho conosciuto i blog “veri” nel 2001, quando ho finalmente preso fiato perché avevo cambiato lavoro. Nel 2003 ne ho aperto uno io. Ma se mi chiedessero: “ti senti un blogger?”, risponderei ancora: no. E’ presto detto il perché. Perché ogni applicazione, si crede, dovrebbe essere come il cibo d’aereo, inodore insapore incolore, e andare bene per tutti. Ma questo non è vero. Tutto ha sempre il sapore e porta il segno delle sue origini, parla la lingua della gente che l’ha pensato e creato. Il blog è uno strumento che nasce nella rete, porta il segno di uno spirito del tempo che si contrappone violentemente ai media nei quali io ho sempre lavorato (potrei dire “sono nato”), ha segnato di sé una fase di contrapposizione tra “parte abitata della rete” e media mainstream. Per me un dato lacerante tra due pezzi della mia storia professionale.
Ma in questi anni non ho mai lasciato passare uno stimolo senza seguirlo, accettando ogni sorta di angheria, come testimonia il mio rapporto tempestoso ma proficuo con alcuni blogger italiani - Granieri, Maistrello, insomma quei pochi con i quali si può parlare.
Personal Damasco. Ma amo molto meno l’antiblog ideologico di tanti miei colleghi. Il naso alzato in segno di sdegno, la citazione loffia nei pezzi solo per dirne male, la considerazione aristocratica per dire che magari si è rubata un’idea. In quei casi divento estremista, vorrei spiegargli come e qualmente non hanno davvero capito come butta il mondo, non perché i blogger ci sostituiranno nel nostro lavoro (ben altri barbari sono in arrivo), ma perché sono messaggeri involontari del futuro, come i gabbiani quando c’è pesce in un punto di mare. Continuare a dire: ma è roba per perditempo (”pipparoli senza editore”), è follia allo stato puro
Ma poi mi stanco. Preferisco combattere qui per l’innovazione, tenere la posizione, tanto l’innovazione arriva a tutti. Arriva in silenzio, per caso, un giorno. Nel 1997 un collega notissimo scrisse poche righe per Repubblica.it su un argomento internazionale (eravamo usciti da pochi giorni). Poco dopo mi fa: “Mi hanno chiamato da un’ambasciata italiana in Africa, mi hanno detto che erano molto d’accordo col mio pezzo. Gli ho chiesto: Ma come fate ad avere già il giornale laggiù? Mi hanno risposto: Dottore, abbiamo letto il suo commento su internet”. E’ un mondo dove la via di Damasco è customized.
Pensierino finale. Io, se dovessi dire a cosa mi sono serviti i blog, potrei rispondere: mi ero arrugginito in quattro anni di “pratica” senza teoria, e mi era sfuggito il senso più ampio del web 2.0. I blog son stati il mio corso di recupero. E forse bastava scrivere solo questo pensiero qui, e non tutta sta spataffiata.
Vittorio Zambardino - repubblica.it
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