martedì 15 gennaio 2008

La valanga assassina: bel colpo di Repubblica che manda sul posto Colaprico. A secco di inviati il Corriere.



Ci sarà pure la crisi a Repubblica, ma intanto il giornale di Mauro piazza un colpo dei suoi mandando subito a Collio (Bs) l'inviato Piero Colaprico che raggiunge il luogo della tragedia che ha causato quattro morti. Il Corrierone rimane all'asciutto di inviati, affidandosi ad un pezzo scritto in redazione a Milano.

Ecco il pezzo dell'inviato a Collio, Piero Colaprico:

COLLIO (BRESCIA) - Il rifugio Bonardi compare all'improvviso dietro una curva, annunciato dalle luminarie natalizie. La nebbia cala a tratti, dall'autostrada semiderserta sino a queste cime innevate. Non si sente un rumore. "Era neve bagnata, è caduta sulla neve ghiacciata, li ha trascinati giù e li ha spostati, trovarli è stato un casino d'inferno", dice subito uno dei soccorritori, un baffuto in casacca arancione.

Dal "casino d'inferno" poco dopo le 21 spunta rombando, quando nessuno se l'aspettava più, una motoslitta. Porta uno dei ragazzi travolti dalla valanga che si è staccata dal monte Maniva, mentre viaggiavano in motoslitta verso i Radar dell'ex base Nato. È l'ultimo dei ragazzi: il quarto, trovato quando nessuno quasi ci sperava più. Ma il volto impassibile dei soccorritori annuncia che la parola "trovato" non significa salvato: non sempre. Il quarto ragazzo è stato avvolto come una caramella in una plastica termica, lucida. "Via, via", si grida intorno. Devono caricarlo sull'autoambulanza. Ma non lo caricano nemmeno. È in condizioni che definire gravissime è poco, ma aveva ancora battito cardiaco, così dicono. Sussurrano che respira ancora e che "Non c'è tempo da perdere". Provano a rianimarlo in questo inferno bianco, glaciale, nebbioso, che intirizzisce.

Non conosciamo la sua sorte sino alle 22.20. Difficile anche chiedere, o capire da qualche dettaglio che cosa possa essere accaduto. Anche chi s'è salvato sembra come ibernato. Come se a gelarlo non fosse solo la neve e il freddo, e la paura, ma la consapevolezza che per uno che ce l'ha fatta, altri amici - "Chi?", chiedeva poche ore fa Walter Tavelli, di Lumezzane, ma nessuno gli rispondeva - sono morti. "Chi ti ha tirato fuori?", chiedono a Walter. "I miei amici". Arriva una giornalista: "Sei sopravvissuto, ma che cosa si prova quando arriva la valanga?". La risposta arriva secca: "Hai mai provato a stare in una lavatrice?". Il giovane, con cappellino e occhiali antineve, stringe le labbra e, a fatica, spiega: "Giravo e giravo, ruotavo su me stesso, e quando finalmente mi sono fermato, non riuscivo a respirare. Altri due minuti e sarei morto soffocato". Con intorno la neve, con l'aria che cominciava a mancare, con il cuore che gli batteva, Walter ha capito una cosa: "Dovevo farmi notare. Ho cominciato a muovermi, la neve mi entrava in bocca, leggermente ma continuamente mi sono mosso, poi ho sentito le voci, ho visto la luce del sole".

Anche la posizione della motoslitta l'ha salvato: non era volata troppo lontana dal suo guidatore. E, mentre alcuni motociclisti della neve lo aiutavano, altri con le moto risparmiate da quella frana che si è staccata tra la Valtrompia e la Valsabbia, sono scesi verso il rifugio Bonardi, per dare l'allarme, "perché su i telefonini non prendono, è una zona cieca". Una zona dove una settimana fa c'era stata un'altra slavina.

"Stella polare" - il gruppo di appassionati di motoslitta che ieri, poco dopo le 14, era partito per una classica gita invernale, giovani "esperti", così dicono tutti, persone che "non esagerano", dicono ancora - sta vivendo una tragedia come raramente si è visto, pur nelle grandi tragedie delle montagne. Non ci sono quassù funivie malandate, o fuoripista tentati sia da abili sciatori che da dilettanti innamorati della neve "mai toccata da altri", o quelle montagne abbandonate a se stesse. No, qua tutto è curato. C'era solo quella salita lungo un tracciato più volte sperimentato. Solo che, questa volta, la "neve era bagnata". Lo dice il padrone dello chalet Maniva Ski. I sette sopravvissuti l'hanno detto e ridetto: "Nessuna imprudenza, credeteci". E c'è davvero da credergli perché il fronte della slavina sembrerebbe - così raccontano i soccorritori, saliti in alto, ben oltre i 1.700 metri del Maniva Ski - "molto ampio".

Gli uomini con le tute gialle del Soccorso Alpino, i giovani delle varie associazioni di volontariato, hanno fatto il possibile. Ma mentre scriviamo il quarto ragazzo è morto. La montagna ha deciso di prendersi l'ultima speranza, nella nebbia bucata dalle lucine del Natale.

(14 gennaio 2008) - La Repubblica

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