Brava Concita De Gregorio, nuovo direttore dell’Unità, quotidiano fondato da Antonio Gramsci.
Congratulazioni per tutto ma soprattutto per il coraggio: prendersi una grana come un quotidiano da dirigere, in tempi di crisi nera della stampa, è scelta da temerari. Per non parlare del coraggio che ci vuole a occuparsi di un giornale come l’Unità nel periodo forse più buio e deprimente della storia del centro sinistra. Solo una donna poteva avere l’audacia per lasciare le sponde sicure di Repubblica, dove, dopo anni di gavetta al Tirreno, si era conquistata uno spazio prestigioso e invidiato, per imbarcarsi in un’avventura così difficile.
Bravo anche a Renato Soru, l’editore, che se fosse stato interessato solo al guadagno avrebbe dovuto affidare la nuova direzione non a una riformista sensibile e attenta come la De Gregorio, ma a un personaggio alla travagliodipietro, capace di fare un Libero di sinistra, l’unico quotidiano che forse oggi potrebbe fare breccia nei cuori e nei portafogli dei lettori dietrologi e giustizialisti, un segmento di cui il marketing editoriale dovrebbe ben conoscere le potenzialità d’acquisto.
Invece la De Gregorio è la scelta più sana possibile e non perché è donna, che pure non guasta, ma perché è persona giovane (compie quarantacinque anni a novembre mentre il suo predecessore Antonio Padellaro ne ha sessantadue, il direttore della Stampa sessantatré, quelli di Corriere e Repubblica sessanta) ma equilibrata, tosta ma umana, capace ma non narcisista.
Nella sua rubrica di addio a D di Repubblica Concita scrive cose molto belle sul suo passato («Non abbiamo avuto paura, avendone») e sul suo futuro («Andiamo insieme, l’astuzia non serve. Non serve mai, davvero, e grazie»).
Ha ragione, Concita. L’astuzia non serve mai, se non a raggiungere risultati mediocri. I risultati eccellenti li raggiungono solo quelli che hanno passioni e ossessioni. E la sua ossessione mi sembra essere non solo il giornalismo ma anche la vita e non lo dico perché so che ha quattro figli (non la conosco personalmente), ma perché da come scrive si capisce che la professione non l’ha indurita, e che non ha paura di mostrare il suo lato sentimentale.
Nella sua ultima rubrica cita Cesare Pavese. Un cinico potrebbe ricordare che lui si è suicidato e fare battute sulla faticaccia che l’aspetta. Ma chi come lei abbandona coraggiosamente il certo per l’incerto scoraggia ogni cinismo.
Ci vuole coraggio anche per citare Cesare Pavese e una sua lettera d’amore a Pierina datata agosto 1950, il mese in cui si uccise. Diceva: «Non si può bruciare la candela dalle due parti. Nel mio caso l’ho bruciata tutta da una parte sola e la cenere sono i libri che ho scritto. Dico questo non per impietosirti (…) l’amore è come la grazia di Dio – l’astuzia non serve».
«L’amore è come la grazia di Dio, l’astuzia non serve». Che bella frase. Che bella idea citarla senza paura. Grazie, Concita, e in bocca al lupo.
Dal blog di Daria Bignardi.
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