mercoledì 27 maggio 2009
Michele Serra milanista per un giorno.
Per chi se lo fosse perso, ecco l'elogio di Michele Serra a Paolo Maldini, ieri su Repubblica:
Paolo Maldini - come Giacinto Facchetti, come Gaetano Scirea – è una di quelle rare figure di campione che non appartengono solo alla propria comunità sportiva. La loro integrità fisica e la loro longevità atletica rispecchiano, con il tempo, la loro integrità morale. Non cambiano maglia perché considerano la fedeltà ai colori sociali un valore non commerciabile. Sono, nel calcio moralmente squinternato dei nostri giorni, un punto di riferimento per tutti. Per questo i fischi che una porzione consistente della curva rossonera ha voluto riservargli proprio nel giorno della sua ultima partita a San Siro stanno facendo il giro del mondo. E sono l´ennesima, pessima pubblicità non solo e non tanto al calcio italiano, ma all´Italia in genere: un inspiegabile, velenoso oltraggio che una plebe incarognita dalla propria smania di protagonismo ha riservato non solo al proprio campione, ma ai propri colori e alla propria storia.
Si dice che Maldini non sia particolarmente amato dagli ultras perché, a differenza di molti, troppi calciatori, ha sempre preferito non frequentarli e dunque, implicitamente, non sdoganarli. Ma neppure questa "spiegazione", che comunque la dice lunga sulla mentalità mafiosa di molte curve, basta a motivare il livore cieco e volgare di domenica pomeriggio. E´ un livore che allude a uno sconquasso sociale e psicologico davvero vertiginoso. Perché travalica perfino il fanatismo del tifo fondamentalista e ce lo rivela, forse per la prima volta, per quello che è davvero: un protagonismo malato, disposto a calpestare anche i propri colori, a espropriare i sentimenti di uno stadio intero, pur di accendere i riflettori su di sé.
Si è spesso sottolineato questo passaggio di ruolo degli ultras, da spettatori a attori. Il calcio come un reality di massa, un gigantesco studio televisivo a cielo aperto nel quale migliaia di ragazzi entrano, ogni domenica, contando su un buon numero di inquadrature. Oggi sappiamo che questo fine altera i mezzi, utilizza il calcio come un pretesto infine minimo (a dispetto delle proclamate "fedi" ultras), lo sottomette ad altre regole: perché nessuna, dico nessuna regola sportiva o tifosa, ha mai prodotto uno spettacolo così sconcertante. La spiegazione è dunque altrove. Sta in quella specie di follia narcisa che ha permesso a gruppi di ultras (non solo del Milan) di sgorbiare il copione destinato agli atleti e solo a loro. Si sentono parte decisiva della scena, hanno perduto lo status di pubblico (e dunque anche la competenza che ne consegue) e acquisito la spocchia dei comprimari frustrati. Non valgono, nemmeno in branco, un'unghia di Maldini, ma non hanno altra maniera, per esistere, che cercare di deviare le telecamere dal volto di un grande campione che saluta e se ne va. Ci sono riusciti così bene che mezzo mondo, oggi, li addita come esempio di ignobiltà militante.
Michele Serra - La Repubblica
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