Gianpaolo Pansa inizierà domani la sua collaborazione con 'Libero'. L'editorialista, comunque, continuerà a curare il 'Bestiario' sul 'Riformista'. La notizia è stata diffusa dal quotidiano diretto da Maurizio Belpietro.
Credo che abbia sofferto gli attacchi virulenti che ha subìto da sinistra per quella sua smania revisionista sulla Resistenza e non si riconosca più in questa parte politica. Dubito fortemente che la sua collaborazione con Libero significhi passare armi e bagagli alla destra. Ma vedremo cosa scriverà e poi giudicheremo. Comprerò quest'ultimo suo libro. Carte false, citato dal buon Frank, è un libro bellissimo sul giornalismo. Giampaolo Pansa rimane un giornalista dalla schiena dritta. Su questo non ho dubbi neanche oggi.
Io ho appena finito di leggere "Il revisionista", e alcuni episodi sui partigiani che uccidevano i fascisti non le conoscevo. Pansa da anni porta avanti la sua battaglia revisionista ed è una sua scelta, ma da qui a passare a Libero e da Belpietro ci vuole una bel pelo sullo stomaco...
Chiaramente la domanda era retorica, nel senso che non riuscirei mai a gettare libri e, comunque, quelli citati rappresentavano il periodo migliore del giornalista assieme ad altri scritti nel periodo (penso anche all'introvabile "Comprati e venduti"). Sui romanzi successivi mi veniva il dubbio (e comunque non credo li leggerò). A differenza del primo del genere "Ma l'amore no" che comunque mi piacque e gli scrissi pure per fargli i complimenti. E lui rispose telefonandomi dall'Espresso di cui era vicedirettore all'epoca. Si schernì, definendosi uno scrittore della domenica e volle anche sapere un po' di me, invitandomi pure a ricontattarlo in seguito. Cosa che per vari motivi non attuai. Ne ricavai una favorevole impressione, perchè non mi aspettavo certo che mi telefonasse. E' il Pansa ossessionato dai partigiani "sanguinari" che respingo (gli armadi della vergogna delle stragi naziste rimasti chiusi fino a pochi anni fa e ancora da esaminare a fondo). Poi, come scrive Barbapapà, si giudicherà per ciò che scriverà, ma questo saltare di sponda, restando però ancorato anche al "Riformista" che non è esattamente come "Libero", a generare scetticismo e garantire, come scrive il padrone di casa, che ci vuole una foresta di peli sullo stomaco.
Io sono fermo, quanto a bibliografia, al Pansa degli anni Ottanta e mi sono ben guardato dal seguirne le smanie revisioniste. Quest'ultimo libro mi interessa perchè è una sorta di memoriale e quindi vorrei rileggere il suo punto di vista (e quanto sia cambiato, nel caso) sugli accadimenti di casa, Repubblica compresa. Concordo anche che bisogna avere pelo sullo stomaco per passaggi del genere. Però mi chiedo se sia così scandaloso che un giornalista decida di scrivere, mantenendo la barra dritta sulle proprie convinzioni, su un giornale che non ne rispecchia le idee politiche. Se Pansa, come penso, non ha dimenticato la sua storia (al di là dell'approccio critico verso la sinistra, ma chi non lo ha tra gli elettori di quel campo?) e su Libero si comporterà da "libero battitore", io credo che sarà tutto di guadagnato per i lettori di quel foglio che potranno almeno trovare uno spazio dove qualcuno instilla dubbi, legge gli avvenimenti con sguardo diverso o indica percorsi inusuali. Io ricordo ancora quando Scalfari assunse nel 1989 Galli della Loggia a Repubblica: scrisse 3 articoli durante l'estate ed i senatori del quotidiano (Mafai, Valli, Viola) protestarono perchè metteva in discussione la linea del giornale. Scalfari prese atto dell'incompatibilità genetica tra storico e giornale e Della Loggia tornò alla Stampa. Io non rimpiango certo GdL, però credo che un giornale si arricchisca se arrivano idee diverse che generano dibattiti. Uno dei problemi di Repubblica, secondo me, è che non riesce più a parlare a tanta gente perchè viene vissuta come un partito monolitico aggressivamente disposto verso il nemico, chiunque sia. Io amo il giornalismo schierato, e non voglio che Repubblica lo rinneghi, però non sono convinto che su un giornale debbano scrivere solo giornalisti o opinionisti di un'unica chiesa o che tutta l'oganizzazione delle notizie debba essere piegata al servizio di un unico punto di vista. Perchè, così facendo, quel giornale non parla a tutta l'opinione pubblica. Ed oggi, lo ripeto ancora una volta, abbiamo bisogno di giornali in grado di parlare a tutta l'opinione pubblica. Quindi, e concludo, se Pansa rimane Pansa anche su Libero ne sarò contento.
Un giornale di larga diffusione come Repubblica ha, secondo me, il dovere di parlare a tutta l'opinione pubblica. Diverso è il caso di un giornale di partito o di riferimento di un'area politica che invece parla tipicamente al proprio ristretto pubblico di lettori. Repubblica negli anni Ottanta veniva definita polemicamente dai suoi avversari (Craxi in testa) il Partito Trasversale proprio per la sua capacità di parlare all'opinione pubblica in tutte le sue sfaccettature. E questa capacità era al servizio della diffusione di una certa idea di società e dei valori che devono innervarla. Quindi, la par condicio non c'entra niente.
7 commenti:
ma perché fa così?
Credo che abbia sofferto gli attacchi virulenti che ha subìto da sinistra per quella sua smania revisionista sulla Resistenza e non si riconosca più in questa parte politica. Dubito fortemente che la sua collaborazione con Libero significhi passare armi e bagagli alla destra. Ma vedremo cosa scriverà e poi giudicheremo.
Comprerò quest'ultimo suo libro. Carte false, citato dal buon Frank, è un libro bellissimo sul giornalismo.
Giampaolo Pansa rimane un giornalista dalla schiena dritta. Su questo non ho dubbi neanche oggi.
Io ho appena finito di leggere "Il revisionista", e alcuni episodi sui partigiani che uccidevano i fascisti non le conoscevo. Pansa da anni porta avanti la sua battaglia revisionista ed è una sua scelta, ma da qui a passare a Libero e da Belpietro ci vuole una bel pelo sullo stomaco...
Chiaramente la domanda era retorica, nel senso che non riuscirei mai a gettare libri e, comunque, quelli citati rappresentavano il periodo migliore del giornalista assieme ad altri scritti nel periodo (penso anche all'introvabile "Comprati e venduti").
Sui romanzi successivi mi veniva il dubbio (e comunque non credo li leggerò). A differenza del primo del genere "Ma l'amore no" che comunque mi piacque e gli scrissi pure per fargli i complimenti. E lui rispose telefonandomi dall'Espresso di cui era vicedirettore all'epoca. Si schernì, definendosi uno scrittore della domenica e volle anche sapere un po' di me, invitandomi pure a ricontattarlo in seguito. Cosa che per vari motivi non attuai. Ne ricavai una favorevole impressione, perchè non mi aspettavo certo che mi telefonasse.
E' il Pansa ossessionato dai partigiani "sanguinari" che respingo (gli armadi della vergogna delle stragi naziste rimasti chiusi fino a pochi anni fa e ancora da esaminare a fondo).
Poi, come scrive Barbapapà, si giudicherà per ciò che scriverà, ma questo saltare di sponda, restando però ancorato anche al "Riformista" che non è esattamente come "Libero", a generare scetticismo e garantire, come scrive il padrone di casa, che ci vuole una foresta di peli sullo stomaco.
Io sono fermo, quanto a bibliografia, al Pansa degli anni Ottanta e mi sono ben guardato dal seguirne le smanie revisioniste. Quest'ultimo libro mi interessa perchè è una sorta di memoriale e quindi vorrei rileggere il suo punto di vista (e quanto sia cambiato, nel caso) sugli accadimenti di casa, Repubblica compresa.
Concordo anche che bisogna avere pelo sullo stomaco per passaggi del genere. Però mi chiedo se sia così scandaloso che un giornalista decida di scrivere, mantenendo la barra dritta sulle proprie convinzioni, su un giornale che non ne rispecchia le idee politiche. Se Pansa, come penso, non ha dimenticato la sua storia (al di là dell'approccio critico verso la sinistra, ma chi non lo ha tra gli elettori di quel campo?) e su Libero si comporterà da "libero battitore", io credo che sarà tutto di guadagnato per i lettori di quel foglio che potranno almeno trovare uno spazio dove qualcuno instilla dubbi, legge gli avvenimenti con sguardo diverso o indica percorsi inusuali. Io ricordo ancora quando Scalfari assunse nel 1989 Galli della Loggia a Repubblica: scrisse 3 articoli durante l'estate ed i senatori del quotidiano (Mafai, Valli, Viola) protestarono perchè metteva in discussione la linea del giornale. Scalfari prese atto dell'incompatibilità genetica tra storico e giornale e Della Loggia tornò alla Stampa. Io non rimpiango certo GdL, però credo che un giornale si arricchisca se arrivano idee diverse che generano dibattiti. Uno dei problemi di Repubblica, secondo me, è che non riesce più a parlare a tanta gente perchè viene vissuta come un partito monolitico aggressivamente disposto verso il nemico, chiunque sia. Io amo il giornalismo schierato, e non voglio che Repubblica lo rinneghi, però non sono convinto che su un giornale debbano scrivere solo giornalisti o opinionisti di un'unica chiesa o che tutta l'oganizzazione delle notizie debba essere piegata al servizio di un unico punto di vista. Perchè, così facendo, quel giornale non parla a tutta l'opinione pubblica. Ed oggi, lo ripeto ancora una volta, abbiamo bisogno di giornali in grado di parlare a tutta l'opinione pubblica. Quindi, e concludo, se Pansa rimane Pansa anche su Libero ne sarò contento.
un giornale che parla a tutta l'opinione pubblica mi convice poco. Cos'è, la par condicio applicata ai giornali? Per carità d'iddio.
Quanto a Pansa, che bisogno aveva di scrivere su Libero, o il Riformista?
Sarebbe come se Bocca scrivesse per il Giornale. Dai, non esiste
Un giornale di larga diffusione come Repubblica ha, secondo me, il dovere di parlare a tutta l'opinione pubblica. Diverso è il caso di un giornale di partito o di riferimento di un'area politica che invece parla tipicamente al proprio ristretto pubblico di lettori.
Repubblica negli anni Ottanta veniva definita polemicamente dai suoi avversari (Craxi in testa) il Partito Trasversale proprio per la sua capacità di parlare all'opinione pubblica in tutte le sue sfaccettature. E questa capacità era al servizio della diffusione di una certa idea di società e dei valori che devono innervarla.
Quindi, la par condicio non c'entra niente.
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