venerdì 30 ottobre 2009

Tornano le frankicche. Con un aneddoto.



Arrivano gli anni '80, quelli dell'edonismo reaganiano a dominare la scena e segnarla nel futuro. Frank57.

A proposito di questi opuscoletti che celebravano il ventesimo anniversario di Repubblica, un nostro collaboratore ci ha ricordato un aneddotto di cui fu protagonista Enzo Biagi:

Caro Pazzo, sapevi che questi opuscoli furono la causa delle dimissioni di Enzo Biagi? I fascicoli, lanciati per i 20 anni di Rep, divennero poi una specie di "il meglio dell'anno". Solo che nella raccolta di un dato anno (non ricordo quale) non era presente nemmeno un pezzo di Biagi e invece c'erano tre pezzi della Mafai, questa cosa fece imbestialire Biagi che se ne andò al Corriere. E i fascicoli non vennero più fatti.

8 commenti:

aghost ha detto...

biagi scriveva per repubblica? Non lo sapevo...

Enrico Maria Porro ha detto...

aghost! mi deludi! non sapevi che biagi fosse una delle penne doc (d'oca) di rep?

Anonimo ha detto...

per maggiori dettagli chiedere a giorgio dell'arti

Frank57 ha detto...

Mi permetto di correggere: questi opuscoli vennero editi per celebrare i primi dieci anni di Repubblica. Non conoscevo l'interessante aneddoto ed è stato un peccato che non sia rimasta la consuetudine del decennale, parimenti alla mancata uscita di "Diario" 2008. Mentre proseguono i tanti ammennicoli di Repubblica-L'espresso.
Certo che Biagi scriveva sul nostro quotidiano.
Magari quando avrò un po' di tempo cercherò qualcosa di Biagi di quegli anni (non ricordo il periodo) e magari sviscerare il dettaglio rivelato dall'aneddoto.
oppure ci penserà Giorgio dell'Arti.

Barbapapà ha detto...

E' possibile che Biagi andò via per quel motivo: ho letto più volte che era un po' permaloso.
A parte questo, si avverte oggi più che mai la mancanza di Biagi, soprattutto se pensiamo alla pochezza servile che è diventata l'informazione su Rai Uno.
In suo ricordo vorrei citare quanto scrisse Scalfari in occasione della sua morte.

Uno stile asciutto, intessuto di proverbi, di citazioni, di luoghi comuni elevati a dignità letteraria. Uno stile corroborato da fatti precisi e circostanziati che di solito si concludevano con un giudizio tagliente e definitivo. Non è mai stato fautore della regola che vuole i fatti separati dalle opinioni; per lui valeva una regola diversa: mai un'opinione senza un fatto e viceversa, poiché sono le due facce della stessa medaglia e quindi vanno insieme. Questa massima non ha significato faziosità e spirito di parte; la sua ricerca di imparzialità era un'ossessione per lui e lo sanno bene i suoi collaboratori che lo aiutarono a raccogliere il materiale per quella rubrica televisiva che gli valse la scomunica berlusconiana e l' estromissione dalla Rai. Si può essere imparziali e neutrali oppure imparzialmente partecipi. Biagi non fu mai la prima cosa, fu sempre la seconda.

Forse il doppiopesista De Bortoli dovrebbe rileggersi queste ultime righe.

aghost ha detto...

a me biagi non è mai piaciuto: costruiva i suoi pezzi con citazioni altrui, mi è sempre sembrato piuttosto stucchevole

Barbapapà ha detto...

Lo stile poteva piacere oppure no, per carità. Ricordo un velenoso articolo di Giuliano Ferrara su Epoca, primi anni Novanta, che descriveva il giornalismo di Biagi attraverso un frammento (ovviamente inventato) di un’intervista a Gianni Agnelli. Biagi (vado a memoria): “Avvocato, qual è stato l’errore più grave che Lei ha commesso in Fiat?”. Agnelli: “Sicuramente il finanziamento al terrorismo libico”. Biagi: “E il momento più bello?”.

Però Biagi, quando bisognava opporsi all'arroganza craxiana, c'era. Così come c'era quando si trattava di opporsi allo psiconano, pagandone le conseguenze (vedi editto bulgaro). E questo per me è ciò che conta.
A me manca nella sua versione televisiva. Il Fatto era un ottimo prodotto giornalistico. E se penso a cosa è ridotto oggi lo pseudo-giornalismo di RaiUno stretto tra Minzolini e Vespa...

Enrico Maria Porro ha detto...

Sinceramente, anche a me Biagi non mi ha mai fatto impazzire.