Mi domando se davvero il figlio di Pier Luigi Celli si potrebbe mai ritrovare un giorno nella spiacevole condizione di non trovare un posto di lavoro, o di doversi rassegnare ad una postazione di call center a seicento Euro al mese.
Mi chiedo come interpretare il messaggio che Celli vuole trasmettere al proprio figlio e - indirettamente - alla nazione: se come una implicita dichiarazione di fallimento personale nei confronti di un mondo imprenditoriale, industriale e politico che in qualche modo -con il proprio operato- si è contribuito ad assecondare oppure come una semplice dichiarazione di disfattismo tipicamente italiano simile a tante altre e -come tale- non proprio necessaria.
E ancora mi domando se Pier Luigi Celli -che è stato direttore generale della Rai dal 1998 al 2001, in tempi politicamente turbolenti- avrebbe scritto un'analoga missiva disfattista anche se al governo ci fossero stati coloro che oggi sono all'opposizione, o se piuttosto in tale circostanza non avrebbe optato -nel rivolgersi al proprio figlio- per quel senso di incrollabile speranza nel futuro che noi tutti conserviamo in qualche sempre più recondito angolo del nostro cuore.
Fortunatamente (o sfortunatamente per qualcuno), in questo paese c'è ancora una nicchia di cittadini che conserva memoria degli anni e degli eventi passati. Ed è proprio in base alla memoria che voglio esprimerLe tutta la mia perplessità sulle parole di Pier Luigi Celli, piovute dal cielo non certo come le parole di un qualsiasi padre ad un qualsiasi figlio, ma come un qualcosa di più autorevole, sebbene non si capisca a quale titolo.
Spero che con tale intervento il quotidiano da Lei diretto non abbia voluto semplicemente raccontare ancora una volta di un paese mal governato e quindi prossimo allo sfascio totale. In tal caso mi sentirei di rassicurarla: tale sensazione di estrema precarietà è -da almeno una quindicina d'anni- assolutamente scolpita nell'animo di tutti noi.
Piuttosto sarebbe bello che il suo quotidiano -anche per impostazione politica- potesse trovare il tempo ed il modo di ospitare le parole magari di un padre ex dipendente di Eutelia oppure ex-operaio tessile in Veneto, piuttosto che di un padre "Megadirettore generale" esattamente come, da ragazzo, leggevo nei romanzi di Paolo Villaggio. Perchè, come vede, la storia di questo paese non cambia mai, e -quarant'anni dopo Fantozzi- sono sempre gli stessi notabili a poter usufruire del diritto di parola.
Ma che -oltretutto- siano quegli stessi notabili a suggerire ai giovani "neolaureati senza prospettive" di lasciare il paese per sempre io lo trovo davvero grottesco, oltre che di pessimo gusto.
stralcio di lettera di Giusepper Carlotti inviata a Repubbica e pubblicata su "Il Ribelle (su rep. non so)
4 commenti:
ecco, e io che avevo detto? A pensar mal si fa peccato ma spesso ci si indovina diceva quella vecchia volpe di Andreotti...
Se così è, Celli è davvero squallido.
E comunque, davvero si può immaginare che il figlio di Celli avrà qualche difficoltà nella sua carriera lavorativa, in italia o all'estero? Dai su.
Aghost, mi fai morire! Quel tuo "dai su" contiene una treccani intera di considerazioni...
Mi domando se davvero il figlio di Pier Luigi Celli si potrebbe mai ritrovare un giorno nella spiacevole condizione di non trovare un posto di lavoro, o di doversi rassegnare ad una postazione di call center a seicento Euro al mese.
Mi chiedo come interpretare il messaggio che Celli vuole trasmettere al proprio figlio e - indirettamente - alla nazione: se come una implicita dichiarazione di fallimento personale nei confronti di un mondo imprenditoriale, industriale e politico che in qualche modo -con il proprio operato- si è contribuito ad assecondare oppure come una semplice dichiarazione di disfattismo tipicamente italiano simile a tante altre e -come tale- non proprio necessaria.
E ancora mi domando se Pier Luigi Celli -che è stato direttore generale della Rai dal 1998 al 2001, in tempi politicamente turbolenti- avrebbe scritto un'analoga missiva disfattista anche se al governo ci fossero stati coloro che oggi sono all'opposizione, o se piuttosto in tale circostanza non avrebbe optato -nel rivolgersi al proprio figlio- per quel senso di incrollabile speranza nel futuro che noi tutti conserviamo in qualche sempre più recondito angolo del nostro cuore.
Fortunatamente (o sfortunatamente per qualcuno), in questo paese c'è ancora una nicchia di cittadini che conserva memoria degli anni e degli eventi passati. Ed è proprio in base alla memoria che voglio esprimerLe tutta la mia perplessità sulle parole di Pier Luigi Celli, piovute dal cielo non certo come le parole di un qualsiasi padre ad un qualsiasi figlio, ma come un qualcosa di più autorevole, sebbene non si capisca a quale titolo.
Spero che con tale intervento il quotidiano da Lei diretto non abbia voluto semplicemente raccontare ancora una volta di un paese mal governato e quindi prossimo allo sfascio totale. In tal caso mi sentirei di rassicurarla: tale sensazione di estrema precarietà è -da almeno una quindicina d'anni- assolutamente scolpita nell'animo di tutti noi.
Piuttosto sarebbe bello che il suo quotidiano -anche per impostazione politica- potesse trovare il tempo ed il modo di ospitare le parole magari di un padre ex dipendente di Eutelia oppure ex-operaio tessile in Veneto, piuttosto che di un padre "Megadirettore generale" esattamente come, da ragazzo, leggevo nei romanzi di Paolo Villaggio. Perchè, come vede, la storia di questo paese non cambia mai, e -quarant'anni dopo Fantozzi- sono sempre gli stessi notabili a poter usufruire del diritto di parola.
Ma che -oltretutto- siano quegli stessi notabili a suggerire ai giovani "neolaureati senza prospettive" di lasciare il paese per sempre io lo trovo davvero grottesco, oltre che di pessimo gusto.
stralcio di lettera di Giusepper Carlotti inviata a Repubbica e pubblicata su "Il Ribelle (su rep. non so)
Giuseppe Carlotti
si è stata pubblicata su repubblica ma a me è sfuggita, meno male che c'è la rete :)
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