Che sta per : Barbapapà su Angelo Aquaro. Leggiamo:
Le prime cronache di Aquaro sono state molto trattenute: cronaca anzitutto, senza troppo dar sfogo alle proprie pulsioni creative. Quasi la tragedia gli avesse imposto un atteggiamento di basso profilo. Ho apprezzato, senza esaltarmi, perché è quello che mi aspetto da un giornalista: notizie, anche se affastellate con un po’ di disordine, come ha rilevato il Feticista Supremo (ma in quel caos, in cui è sparito perfino il governo locale, ciò è comprensibile). E mi è parso ancora più efficace nelle cronache per Repubblica TV.
Poi c’è stato, purtroppo, il consueto scarto di Repubblica verso quella bolsa impostazione che prevede un giornalista dedicato alla cronaca ed un altro, tipicamente una firma, a dedicarsi al racconto di dolore (il termine colore in questo caso è inappropriato). E’ arrivato quindi Flores D’Arcais ad occuparsi sobriamente della cronaca e Aquaro si è potuto finalmente dedicare al racconto facendo leva sul suo presunto talento narrativo.
E quindi abbiamo cominciato a sorbirci articoli infarciti del retoricume citato da aghost e delle sue amate rielaborazioni di titoli di poesie, libri, canzoni. Domenica: “È venuta la morte e ha avuto i suoi occhi”. Ieri: “La campana di Saint Rouse non suona più per nessuno” oppure “Cristo si è fermato a Port-Au-Prince”. Oppure queste verità rivelate: “Sapete che cos'è una catasta di cadaveri? Una catasta è una catasta e i cadaveri che si ammassano e si attorcigliano uno sopra all'altro sono il volto di Haiti che il mondo non ha ancora visto”.
Ecco, io trovo questo modo di fare giornalismo fastidioso (una pallida copia di Zucconi) e superato. Non aggiunge alcunché alla comprensione della tragedia. Questi pezzi, secondo me, sono assai meno potenti di quelli scritti, ad esempio, da Stefano Zannini, il capo missione di MSI, che con i suoi crudi resoconti sulle difficoltà di fornire assistenza medica ai sopravvissuti ci dà pienamente il senso della tragedia di Haiti e del drammatico lascito che si sta cercando di gestire.
Di Aquaro posso apprezzare lo sforzo in una situazione disagiata ed il buon gusto rispetto a Molinari di non raccontarci delle presunte privazioni cui si deve sottoporre, ma niente di più. Non mi pare che siano state scritte pagine memorabili.
Infine, sarebbe utile sapere dal martire Molinari quale indennità riceverà per la missione haitiana. Così potremo valutare meglio i disagi che ha dovuto sopportare…
Barbapapà
6 commenti:
Barbapapà, sommo.
Complimenti.
Troppo generoso, Frank. Grazie comunque.
In realtà, caro Barbapapà quello di AA è un problema che riguarda un po' tutta la stampa, soprattutto italiana, quando si coprono tragedie come terremoti e alluvioni.
E in genere, tutti noi saltiamo a pie' pari quelle pagine ben sapendo che ci aspettano montagne di inutili righe strappalacrime. Senza notizie. Perchè trovare le notizie, dare un "taglio" a un pezzo è faticoso e difficile.
Ma sapete perché succede? Io un'idea ce l'ho: è un retaggio di un giornalismo da quotidiani d'altri tempi, quando le TV, Internet e le agenzie fotografiche non c'erano e allora l'atmosfera il lettore poteva trarla solo dalle parole dell'inviato.
Oggi tutto questo è inutile: vediamo già quello che succede, tu inviato devi darci qualcosa in più, una storia particolare, un risvolto, numeri. Non frasi fatte. Risultato: oggi tanti aspiranti giornalisti leggono i pezzi dei grandi inviati e dicono "ma questo avrei potuto farlo anch'io".
Ed è vero.
Assolutamente d'accordo con Esaù. Il giornalismo stampato è cronicamente in ritardo sulla televisione, e la televisione è in ritardo su internet, che su un qualsiasi fatto del mondo è in grado di mostrarci tutto quel che c'è da mostrare nel giro di pochi minuti o al massimo poche ore.
Che senso ha allora ripetere tutto per iscritto, magari 3 giorni dopo? Non ha nessun senso infatti. Non siamo più nell'800, il giornalista d'oggi deve darmi qualcosa di diverso, qualcosa che internet ne' la tv mi dato, non una minestra riscaldata.
Paradossalmente, la stampa dovrebbe andare più lenta e non più veloce (ridicolo quindi il premio all'inviato che arriva primo), perché non può competere in velocità con internet. Può competere però, e bene, con gli approfondimenti, con riflessioni meditate, con storie che i media iperveloci non possono raccontare.
E un esempio di che cosa si sarebbe potuto fare, un piccolo scoop, arriva oggi.
Se nei primi giorni della tragedia gli inviati della carta stampata invece di rimestare nel dolore si fossero fatti un bel giro avrebbero scoperto subito, ad esempio, che il quartiere dei ricchi di Haiti è rimasto "intatto": invece, abbiamo dovuto aspettare una settimana.
Quello che scrive Esaù è verissimo. Per questo ritengo bolsa questa impostazione di Repubblica.
Come dice giustamente aghost, il giornalismo su carta stampata è perdente nell’immediato deflagrare di un evento di tale portata e vincente solo su un orizzonte più lungo, quando alla cronaca sotto le luci dei riflettori mondiali occorre sostituire il racconto più approfondito, meno vistoso e più noioso ma assai più importante, di come si sta rialzando il paese (per restare ad Haiti).
Questo non significa che non si debba comunque mandare un inviato a coprire tali eventi nell’immediato. Bisogna solo essere consapevoli che il ruolo ed il contributo sono meno rilevanti e che raramente si attraggono nuovi lettori, tantomeno con la rappresentazione "romanzata" del dolore per le ragioni esposte da Esaù: i giornali non sono più una forma esclusiva di accesso ai fatti del mondo.
Però, ci si attenga almeno alle notizie e, soprattutto, le si cerchi, ove possibile.
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