giovedì 7 gennaio 2010

Il nostro Beniamino.



Oggi è morto Beniamino Placido. Lo so, la notizia è arrivata a mezzogiorno circa e PPR la pubblica solo a notte fonda. Ma oggi, credetemi, è stata una giornataccia. Voglio perciò scusarmi con tutti voi per il ritardo con cui posto questa triste notizia, e in particolare con GPP e Fabio P. che mi hanno scritto in giornata per ricordarmi di pubblicare due righe. E mi scuso soprattutto con lui, con Beniamino, compagno di lunghi anni di lettura di Repubblica di quand'ero ragazzo. Una Repubblica che allora era decisamente un'altra cosa.

Poco fa mi ha scritto anche Frank57, ricordandomi anche lui la morte di BP. Vorrei riportarvi le sue righe che contengono una bella idea (una sorta di Frankicca) per commemorare nel giusto modo un grande giornalista che ha fatto la storia del nostro giornale:

Caro Enrico,
mi piacerebbe che PPR ricordasse Beniamino Placido con un pezzo sui Bronzi di Riace del 1981. L'articolo, che ho trovato nei preziosi quaderni del decennale, inquadra perfettamente secondo i canoni dell'intellettuale e poi critico tv, la vicenda dell'esposizione delle statue. Erano anche anni di fecondi dibattiti sul giornale, vedi la nota sulle lettere. Tempi che mi paiono lontanissimi. Oppure è solo una mia impressione?
Un caro abbraccio e l'augurio di un sereno 2010.
Frank57


CALMA, GENTE NON ESAGERIAMO

di Beniamino Placido

Ho offeso i bronzi di Riace («Perché tanta gente dagli occhi golosi», la Repubblica del 30 giugno) e mal me ne incoglie. Ormai è chiaro: dei bronzi di Riace si può parlare soltanto con commossa trepidante ammirazione. A parlarne “male” si rischia di aver parlato male di Garibaldi. Lo confermano le numerose lettere di protesta pervenute, e pubblicate sabato 4 luglio (1).

Eppure mi sembra di aver avuto una reazione nient’affatto elitaria. Mi pare di aver reagito proprio da “italiano medio”. Perché sono convinto (forse immodestamente) di possedere tutti i difetti classici del “carattere italiano”. Meno uno: «non amo le grandi qualità dei popoli che non conosco».
Quelle virgolette racchiudono una vecchia dichiarazione di Ennio Flaiano. All’interno di un diverso discorso (gli era stato chiesto: se non fossi italiano, di quale nazionalità vorresti essere?) lo scrittore pescarese intendeva dire: 1) che ammirare le grandi qualità dei popoli che non si conoscono è — fra i mille pregi — un piccolo difetto del nostro “carattere nazionale”; 2) che questo difetto sarebbe meglio non averlo. Aggiungo: non conviene incoraggiarlo.

Ma come? — dicono i lettori protestanti — per ammirare due statue greche bisogna preventivamente ripassare gli aoristi, ricordarsi la data della battaglia di Salamina? Certamente no, se si tratta di ammirare due statue. Certamente sì, se uscendo dalla visita (due minuti per ciascun visitatore) si entra nella grande chiacchiera nazionale sulla Grecia, la “grecità”, la solarità, la luminosità, la serenità (altre rime in “a” non me ne vengono) della civiltà greca. In questo caso gli aoristi e le date ci vogliono. E non ci sono.

Perciò, mentre accetto tutti i rilievi critici (tutti, anche i più severi) formulati dai lettori che hanno scritto, o che scriveranno, perché motivati (tutti) da grande amore per l’arte classica, non capisco perché questi stessi lettori indignati non ci vogliono aiutare a capire (loro che lo sanno) le ragioni di un fenomeno francamente inspiegabile. Come mai tante persone indifferenti fino a ieri alle sorti della “grecità” affrontano tante fatiche (code, risse, svenimenti, botte, insolazioni) per vedere delle statue tanto antiche?

Si può sostenere che si tratta di un fenomeno positivo, si può ritenere che si tratta di un fenomeno negativo: ma non si può negare che di un fenomeno si tratta. Ed è inutile dire: ma anche l’Estate romana,... ma anche la Mostra di Kandinsky...

Non è la stessa cosa. Quelli che approfittano delle iniziative (benemerite) dell’Estate romana lo fanno per divertirsi. Tornando a casa dopo mezzanotte non se lo sognano nemmeno di discettare sull’estetica dell’estate. Le centomila persone che hanno visitato la Mostra di Wassily Kandinsky lo hanno fatto con onesta (anche se frettolosa) semplicità. Non sono usciti da quella Mostra pretendendo di aver capito l’essenza della kandinskytà.

Mentre gli ammiratori dei guerrieri entrano nella grande sala, e ne escono, dentro un raptus di entusiasmo per la grecità della Grecia. Alla quale estendono — immediatamente e meccanicamente — tutte le qualità che intravedono nelle statue (forza, eleganza, autorità). Ecco come si materializza davanti ai nostri occhi — con la complicità dei giornali, che hanno sciorinato articoli “culturali” di sconcertante, e infervorata vaghezza — un’idea della Grecia vecchia come l’inno agli Dei della Grecia di Schiller (1788) e stantia in proporzione.

È un’idea affascinante, certo. Chi ha il cuore così duro da non lasciarsi affascinare da una civiltà distesa solare armonica serena? Dove tutti gli uomini sono Pericle, tutte le donne sono Aspasia, tutti i guerrieri sono di bronzo?

Ha affascinato tutti quest’idea, nell’Ottocento. In Inghilterra, poi, ha generato la Grande Passione, forse la vera Grande Passione Romantica inglese che è durata un secolo e mezzo. È una passione spesso antipatica, con delle punte di fatuità (e in fondo l’ammirazione per l’ “eccezione greca” serviva a legittimare l’“eccezionalità” dell’Inghilterra), ma non è una passione “gratuita”. Si accompagna ad un grande appassionato studio della Grecia, che investe tutta l’élite dirigente e tocca le persone più imprevedibili.

A farsi il primo giretto (1738-39) nell’Egeo, per tornare con una nave carica di marmi è Lord Sandwich, più noto per aver infilato una fetta di carne fra due di pane, inventando il “sandwich”. A scrivere libri di 1700 pagine su Omero è il Gladstone, quattro volte primo ministro. E la conoscenza del greco rimane requisito formale per l’accesso ad Oxford, a Cambridge fino alla prima guerra mondiale. (Questa e altre informazioni si trovano in Richard Jenkyns, The Victorians and Ancient Greece, Harvard University Press, 1980 pagg. 386, dollari 30).

Fra noi e Lord Sandwich qualche punto di contatto rimane: noi mangiamo i panini che lui ha inventato; ma la sua conoscenza della Grecia era probabilmente migliore della nostra. E se lui si trovasse a far la fila con noi, nella piazza del Quirinale, si rallegrerebbe a vederci mangiare i suoi “sandwich” per ingannare l’attesa, ma qualche aoristo ce lo chiederebbe.

Dove sono da noi le grandi passioni per i Greci? Dove le grandi tirature dei classici greci? Fuori le cifre (se ci sono).

Che cos’è allora questo fervido interesse per i bronzi di Riace? Passione per l’Esotico? Nostalgia dell’Eroico? Suggestione dell’Erotico (perché no: le statue hanno sempre suscitato delle passioni carnali)? Fascinazione fantascientifica (vengono dal mare...)? Aspirazione a scoprire, a ricostruire un mondo nuovo, un universo alternativo (la Grecia al posto della Russia, dell’America, della Cina)?
Può darsi. Sono tutte spiegazioni plausibili. E non disdicevoli. Una cosa sola forse si può dire con certezza. Che non si tratta di una passione “greca”. Di greco, questa frenetica frettolosa eccitazione per i bronzi di Riace ha molto poco. Troppo esagitata. Troppo esasperata. Troppo insofferente di ogni opinione contraria.

Contravviene a quella massima dei Sette Saggi, considerata — a torto o a ragione
— l’emblema della civiltà greca: “Medèn, àgan” Che vuol dire: “ne quid nimis”. Ovvero: niente di eccessivo. Ossia: non esageriamo.

(1) Il quattro luglio l’intera rubrica delle lettere della Repubblica era stata dedicata alle critiche che i lettori avevano rivolto a Beniamino Placido per il suo articolo sui bronzi di Riace. Le lettere (sei) accusavano Placido di aver assunto un atteggiamento da “Intellettuale presuntuoso’ e dl aver messo insieme “un’accozzaglia dl luoghi Comuni, di maschilismo e dl sciocche rimembranze classicheggianti”.

8 luglio 1981

5 commenti:

Barbapapà ha detto...

A noi aficionados di Repubblica Beniamino manca tantissimo, a noi che abbiamo amato la sua bellissima rubrica di critica televisiva A parer mio e i suoi brillanti trasversali interventi.
A me piaceva lo stile semplice ma forbito con cui riusciva a rendere accessibile a chiunque ogni argomento, di cui poi forniva sempre una chiave di lettura mai banale.

Bello il ricordo di Frank e bella la rievocazione sull'edizione on-line del Foglio di ieri di Nicoletta Tiliacos, che ha descritto mirabilmente lo stile di Beniamino. Modestissimo e irritante invece lo sforzo on-line del Corsera (vedremo oggi sull'edizione cartacea).

Requiescat in pace.

Anonimo ha detto...

Degnissime le due pagine di Repubblica di oggi.

Barbapapà ha detto...

Concordo con Caterina: due belle pagine. Ho scoperto tristemente perché Beniamino era sparito dalle colonne del giornale da tanto tempo.
Spiace non aver letto un ricordo di Scalfari.

Occam ha detto...

È vero, anch'io mi aspettavo il Fundador in grande spolvero, modalità «IO–VIRGOLA»

Enrico Maria Porro ha detto...

mistero sul mancato pezzo di scalfari