martedì 19 gennaio 2010
LeogAAne.
Ieri AA è andato a far visita al paese fantasma di Leogane, che dista una trentina di chilometri da Port-au-Prince, un posto dal nome che sembra una bestemmia.
Il risultato è questo crudo reportage di cui vi proponiamo un pezzo eloquente:
"Leogane è la bocca dell'inferno. L'epicentro del terremoto che martedì scorso ha cancellato Haiti è a pochi chilometri da qui. Ma l'epicentro dell'attenzione internazionale è altrove. Leogane è una città fantasma: il 90 per cento delle costruzioni venute giù. Le vittime più alte di questa guerra che nessuno ha dichiarato. Quella che una volta era una città adesso sembra il set di un film di zombie. Non era un ritrovo di povera gente.
Lo vedi dalle vittime della Grand Rue: Sogebank, Banque National, Banque Popoulaire. Questa era la città della canna da zucchero. Questa era la città della Fabrique de Kola. Ora solo cartelli e macerie. E la Coca Cola venduta ai banchetti del mercato nero nel piazzale d'ingresso: quello con il distributore Texaco dove un esercito di profughi sui camioncini si dà battaglia per la benzina che costa due dollari al gallone. Quattro volte il prezzo normale."
Da segnalare che di Leogane ne parla anche Francesco Semprini su La Stampa, con la differenza che lui se ne sta a Santo Domingo.
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6 commenti:
Anche il TgTre si è recato a Leogane e faceva uno strano effetto vedere la popolazione che si è riversata in campagna, dove naturalmente l'ambientazione era completamente diversa, dava persino un senso di pace. Un tramonto sulle rive del mare: c'era il paradiso.
Notevole la corrispondenza dell'inviato Aquaro (nel senso che è sul posto, apprezzabile dunque). Penso che si guadagnerà qualche PPR+, questa volta.
AA wrote: "Le vittime più alte (più alte? ndr) di questa guerra che nessuno ha dichiarato".
Mah, questo retoricume non mi piace...
Apprezzo molto lo sforzo del Feticista Supremo di raccontare l’impegno dei giornali italiani ad Haiti. Io personalmente rimango abbastanza freddo su questo sia pur necessario sforzo.
A me pare che la televisione sia molto più efficace nel rappresentare un dramma di queste proporzioni: ti dà una visione complessiva della tragedia di maggior impatto, anche se crudo. Quello che il giornalista, per quanto abile, riesce a fare, se si avvicina sobriamente all’evento, è dare puntualmente conto di quanto accaduto o, se invece lascia scorrere la penna, dare una soggettiva della tragedia. In ambedue i casi, arriva sempre dopo la televisione (salvo improbabili scoop).
In eventi come questi istintivamente sarei portato, come aghost, a saltare a piè pari tutte queste cronache. Poi, sarà la coscienza che morde, mi impongo la lettura quasi fosse un obbligo morale più che una sentita esigenza informativa (perché già soddisfatta da tv e internet). E quel che cerco, in questi casi, è informazione senza troppi imbellettamenti.
Le prime cronache di Aquaro sono state molto trattenute: cronaca anzitutto, senza troppo dar sfogo alle proprie pulsioni creative. Quasi la tragedia gli avesse imposto un atteggiamento di basso profilo. Ho apprezzato, senza esaltarmi, perché è quello che mi aspetto da un giornalista: notizie, anche se affastellate con un po’ di disordine, come ha rilevato il Feticista Supremo (ma in quel caos, in cui è sparito perfino il governo locale, ciò è comprensibile). E mi è parso ancora più efficace nelle cronache per Repubblica TV.
Poi c’è stato, purtroppo, il consueto scarto di Repubblica verso quella bolsa impostazione che prevede un giornalista dedicato alla cronaca ed un altro, tipicamente una firma, a dedicarsi al racconto di dolore (il termine colore in questo caso è inappropriato). E’ arrivato quindi Flores D’Arcais ad occuparsi sobriamente della cronaca e Aquaro si è potuto finalmente dedicare al racconto facendo leva sul suo presunto talento narrativo.
E quindi abbiamo cominciato a sorbirci articoli infarciti del retoricume citato da aghost e delle sue amate rielaborazioni di titoli di poesie, libri, canzoni. Domenica: “È venuta la morte e ha avuto i suoi occhi”. Ieri: “La campana di Saint Rouse non suona più per nessuno” oppure “Cristo si è fermato a Port-Au-Prince”. Oppure queste verità rivelate: “Sapete che cos'è una catasta di cadaveri? Una catasta è una catasta e i cadaveri che si ammassano e si attorcigliano uno sopra all'altro sono il volto di Haiti che il mondo non ha ancora visto”.
Ecco, io trovo questo modo di fare giornalismo fastidioso (una pallida copia di Zucconi) e superato. Non aggiunge alcunché alla comprensione della tragedia. Questi pezzi, secondo me, sono assai meno potenti di quelli scritti, ad esempio, da Stefano Zannini, il capo missione di MSI, che con i suoi crudi resoconti sulle difficoltà di fornire assistenza medica ai sopravvissuti ci dà pienamente il senso della tragedia di Haiti e del drammatico lascito che si sta cercando di gestire.
Di Aquaro posso apprezzare lo sforzo in una situazione disagiata ed il buon gusto rispetto a Molinari di non raccontarci delle presunte privazioni cui si deve sottoporre, ma niente di più. Non mi pare che siano state scritte pagine memorabili.
Infine, sarebbe utile sapere dal martire Molinari quale indennità riceverà per la missione haitiana. Così potremo valutare meglio i disagi che ha dovuto sopportare…
Acquaro non è Zucconi, è chiaro, che nell'infiocchettare articoli anche senza sostanza è maestro indiscusso. Quando il dolore è così indicibile e spaventoso, meglio volari bassi.
Ricordo a questo proposito una mezza intemerata di Scalfari, il quale diceva che il compito principale di un direttore di giornale è fare lo psicologo.
Perché quasi tutti i giornalisti, diceva, vorrebbero fare gli scrittori. Invece è un grosso equivoco, spiegava: il redattore, che deriva dal verbo redigere, deve limitarsi semplicemente a raccogliere e descrivere i fatti, non fare letteratura :)
Ineccepibile.
Anche se poi Eugenio ha consentito che lo stile zucconiano tracimasse ovunque nel giornale...
intendiamoci, un po' di stile non guasta, anzi. Ma, appunto, non deve eccedere. Quando uno si scrive addosso, diventa fastidioso.
Un po' come il calciatore virtuoso che si ostina nel dribblig e all'ultimo scarto perde la palla o sbaglia il tiro in porta.
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