venerdì 22 gennaio 2010

Terremotati si, pixelati no.



In un commento di qualche giorno fa, il nostro Aghost sollevava la questione dei bambini non pixelati nelle foto provenienti da Haiti. Un lettore de La Stampa poneva la stessa domanda al direttore Mario Calabresi. Ecco il botta e risposta di Calabresi:

Nessun voyeurismo in quelle immagini di bambini


Caro direttore, c’è qualche motivo per cui la fotografia della ragazza sequestrata a Lucera ha avuto la faccia velata, mentre le due bambine haitiane vengono presentate nelle prime pagine del 19 e di oggi a viso aperto e in mutande?
Forse che il pudore delle negrette non è da tutelare altrettanto? (se preferite, sostituite pure negrette con «nerette», così ci mettiamo a posto la coscienza).
GINO GUIDETTI FERRARA


Quando si parla di immagini di bambini, a fare testo è la Carta di Treviso, approvata nel 1990 dall’Ordine dei Giornalisti, dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana e da Telefono Azzurro. Questo testo, che detta la deontologia professionale dei giornalisti, prescrive che i minori coinvolti in fatti di cronaca non possano essere riconoscibili o rintracciabili e che le loro vicende non vadano spettacolarizzate o strumentalizzate.
«Il rispetto per la persona del minore, sia come soggetto agente, sia come vittima di un reato, richiede - è scritto nella Carta - il mantenimento dell’anonimato nei suoi confronti, il che implica la rinuncia a pubblicare elementi che anche indirettamente possano comunque portare alla sua identificazione».
La richiesta di anonimato è la chiave per capire perché il volto della ragazza di Lucera era stato reso irriconoscibile, mentre sulle foto dei bambini di Haiti non siamo intervenuti (cosa che peraltro non ha fatto nessun giornale del mondo).
L’accordo di Treviso inoltre prevede che «al bambino coinvolto - come autore, vittima o teste - in fatti di cronaca, la cui diffusione possa influenzare negativamente la sua crescita, deve essere garantito l’assoluto anonimato. Per esempio deve essere evitata la pubblicazione di tutti gli elementi che possono portare alla sua identificazione, quali le generalità dei genitori, l’indirizzo dell’abitazione o il Comune di residenza nel caso di piccoli centri, l’indicazione della scuola cui appartenga».
È chiaro allora che i bimbi del terremoto fanno parte di una tragedia collettiva, mentre la ragazza di Lucera rischia un assalto di cronisti alla sua porta e di diventare oggetto della morbosità di fotografi e concittadini.
In questi giorni siamo stati attenti ogni sera a selezionare foto dai luoghi del terremoto che non fossero offensive della dignità di chi vi era ritratto o inutilmente scandalistiche.
Non c’è nessun compiacimento o voyeurismo nelle nostre scelte, ma solo la volontà di testimoniare cosa è accaduto ad Haiti, di mostrare con chiarezza le dimensioni di una tragedia. Mario Calabresi.

E questo è il commento finale di Aghost: "la risposta non mi ha convinto".

5 commenti:

Frank57 ha detto...

Non è solo aghost ad essere rimasto perplesso.

Supersoul ha detto...

io porterei il discorso anche "oltre", e cioè a valutare quanto il concetto di RISPETTO nel fare informazione sia ondivago ed incerto. Datemi pure del terrorista: poniamo in Afghanistan muore un soldato italiano, ma anche un francese o qualsivolgia etnìa occidentale. Giù caterve di parole e di pensieri. Ma tutti quei civili locali che muoiono durante le operazioni di guerra chi sono? Babbo Natale? Non hanno anche loro cuori che pulsano? Non lasciano anche loro famigliari pietrificati dal dolore?
Scusate se sono andato fuori tema.

Enrico Maria Porro ha detto...

supersoul, on sei andato per niente fuori tema. hi detto cose molto vere e importanti. grazie.

aghost ha detto...

rivolgerei a Calabresi questa domanda: se si chiedesse al bambino o all'adulto estratto dalle macerie nudo, sottoschok, piangente o ferito, se sarebbe contento di finire sulla prima pagina di un giornale occidentale, cosa risponderebbe?

Enrico Maria Porro ha detto...

aghost, scrivigli, lui di solito risponde. non so se risponde a questa, però.