venerdì 5 marzo 2010
"E sogno un'Arte reproba / che smaga il mio pensiero / dietro le basse immagini / d'un ver che mente al Vero".
Ci è arrivata una lettera in redazione:
"Ciao, sono un lettore assiduo del tuo blog, nonchè collaboratore di Repubblica nel reparto grafico e impaginazione. Ti mando l'articolo che Scalfari ha scritto per domenica prossima a commento della mania per l'immagine di Berlusconi e dei suoi curatori d'immagine, ma che sarà sostituito con un "domenicale" legato al tema Polverini-Formigoni. Ciao e complimenti per il blog".
Ecco il pezzo in questione:
QUEL RITRATTO CHE CI ASPETTA IN SOFFITTA
di Eugenio Scalfari
"E sogno un'Arte reproba / che smaga il mio pensiero / dietro le basse immagini / d'un ver che mente al Vero". Il lettore mi perdonderà se inizio questa piccola riflessione volando insieme al grande decadente Arrigo Boito e a quel Dualismo che racchiude tutto lo scontro gli universi mentali e morali del "ciò che si è" e del "ciò che si vorrebbe essere" per poi atterrare sulla quotidianità più triviale: il fotoritocco. Argomento da bar, certo. Materia di piccole chiacchiere che però, a ben vedere, sono pur'esse segnali di vita e spunti per pensare: basta essere coscienti - come noi - della loro frivolezza. E non chiedere loro di diventare quel che non possono essere.
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Quella della Verità, oggi, è una battaglia di trincea che tutta particolare. Mobile, perché vede il confine tra commilitoni e nemici slittare in avanti, magari anche di poco, ma inesorabilmente. E tutti sono chiamati a combattere: la sonora risata sulle disavventure del fotoritocco della copertina dedicata da non ricordo quale rivista americana a Demi Moore è plebiscitaria. Tocca tutti. E' la riedizione dello svillaneggiamento, questo sì, davvero democratico, del re che viene scoperto improvvisamente nudo. Peggio che nudo: ritoccato. Privo persino di quella rozza innocenza che la nudità presuppone. Chi viene colto a trasformarsi in qualcos'altro, quando la trasformazione oltrepassa il limite dell'evidenza, è come se fosse sorpreso di notte in una terra di mezzo tra la trincea della verità, quella che tutti crediamo di abitare, e quella opposta dell'Avversario: il Falso, l'Ingannatore che puzza di zolfo. E chi può dire, quindi, da che parte stia il fotoritoccato? Sarà ancora dei nostri, o è già passato ai loro?
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Visto che la questione non ci fa il regalo di risolversi da sola, bisognerà apportare qualche altro elemento. Quella tra il vero e il falso, tra l'essere e il suo doppio, tra Dorian Gray e il suo ritratto, è una linea che - come dicevamo - scivola e si sposta inseguendo i capricci della modernità. Con la tecnologia - amici dalle tempie meno canute delle mie mi hanno raccontato che con il programma Photoshop si possono compiere miracoli in pochi minuti - questa linea diventa ancora più sottile e mutevole, tanto da scomporsi in particella (le immagini statiche che vediamo sui giornali, i pochi secondi di pubblicità con George Clooney) e onda (il viso che ci portiamo dietro per tutta la giornata, che ha una sua continuità: quella che poi amiamo in chi ci sta più a cuore), così da arrivare ad annullarsi in quella fiera di assurde - ma provate - verità che è la meccanica quantistica. La linea esiste e non esiste. E' questo che ci induce in tentazione. E' questo che ci suggerisce, con seducente vocina mefistofelica, di snellire con qualche clic la foto con cui adorniamo il nostro profilo di Facebook. "Ferma l'attimo fuggente!" dice la vocina: ringiovanisciti, migliorati. O meglio: migliora la tua immagine, che è tua emanazione: tuo avatar che si moltiplica all'infinito presso tutti quelli che ti conoscono solo per vie indirette. Migliorala qui ed ora: per dimagrire col fotoritocco bastano pochi minuti e non serve sacrificio alcuno. Per questo quando si vedono immagini dissonanti, e una di queste immagini è fatta per un uso illustrativo - ossia non si tratta di foto "rubata" alle cose e ai momenti della vita, ma è frutto di posa e segnata dall'intento del bell'apparire - diventa legittimo il dubbio. Anzi, il conto delle probabilità va decisamente a favore del fotoritocco. Senza che nessuno dotato di logica possa offendersi.
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E non c'è solo il fotoritocco. Possiamo dare una patente di verità assoluta alla fotografia fatta a qualcuno che risucchia in dentro le guance o si alza in punta di piedi per apparire più attraente? L'esercito del Falso è legione, le sue quinte colonne sono tra di noi e anche tutti noi, in quei momenti di vanità - qualità pur sempre umana insieme agli altri retaggi dell'esser vivi - ne facciamo parte.
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Però non condannateci se facciamo notare rughe che appaiono e scompaiono, posture innaturali, discrepanze tra foto e persone. (E l'etimologia di persona, non a caso, è "maschera"). La linea tra il vero e il falso, proprio come nella meccanica dei quanti, dipende dagli strumenti - ottici e mentali - di chi guarda. Ciò crea di per sé un compito e una responsabilità di custodia della frontiera del Reale, che può apparire compito assurdo, presidio buzzatiano nell'attesa di un nemico invisibile che rende vana ogni pugna. Ma è il dovere di chi vuole il cielo stellato sopra e la legge morale dentro, di chi ancora si sforza di guardare e discernere, considerando con amarezza la sorte dell'uomo moderno che ormai ha sovvertito a spese della realtà il paradigma di Dorian Gray: sale le scale della soffita a fatica, magari appesantito dall'aver passato il quintale, apre la porta col naso, che fattosi aguzzo con l'età, arriva quasi prima delle braccia, e si trova davanti il ritratto sempre più perfetto a cui ha delegato sogni, speranze, felicità. Ma ormai il ritratto lo guarda con un'espressione altera, come se non volesse più avere nulla a che fare con lui.
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