giovedì 9 settembre 2010

Il ricordo di Cinzia Sasso: "Al mio amico Guido voglio dire solo una cosa: che palle, ma dovevi proprio andartene adesso?"

Detesto i necrologi, ma oggi non posso proprio farne a meno. Voglio raccontarvi la storia di Guido Passalacqua, un giornalista di Repubblica che ieri è morto. Detesto anche la retorica, ma anche di questa, stavolta, non posso fare a meno: si può fare oppure essere un giornalista, e Guido era un giornalista.

Direte: cosa vuol dire? Significa che quello che fai per te non è un lavoro, è il tuo modo di guardare il mondo. Quando non ti accontenti mai di quello che sai di un fatto e vuoi saperne di più. Quando, prima di scrivere, controlli mille volte e fai sempre una telefonata in più. Quando non sai cos’è l’orario di lavoro perché, appunto, quella per te è la vita. Quando non te ne importa niente di “fare la carriera”, perché ti basta fare il tuo lavoro. Quando non c’è una volta che qualcuno possa dirti cosa scrivere: sei tu, che glielo dici; perché sei tu che hai visto, conosciuto e capito.

Guido non era un fine scrittore, non usava la penna come fosse un pennello; non faceva “affreschi”, raccontava notizie. Il suo è sempre stato un giornalismo di sostanza. Il giornalismo di oggi, quello che basta cliccare Wikipedia, non gli piaceva. Era un uomo molto per bene. Ho qui il suo libro con la dedica, e mi viene da piangere: “Alla mia amica Cinzia”.

Al mio amico Guido voglio dire solo una cosa: che palle, ma dovevi proprio andartene adesso?

Dal blog di Cinzia Sasso

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