Il Manifesto da 3 giorni a questa parte si è affidata alla penna di Vauro per variare il proprio logo inserendo un cappio intorno alla lettera i per ricordare la precarietà della propria situazione ed il rischio concreto di chiusura del giornale.
Nella prima pagina di oggi, oltre all’elemento grafico del marchio, capeggia l’immagine dell’ennesimo incidente sul lavoro avvenuto nell’hinterland milanese ieri.Come si può chiaramente vedere l’immagine è tratta da un sito di giornalismo partecipativo [o citizen journalism che dir si voglia] le cui immagini sono state utilizzate anche dai telegiornali delle principali emittenti generaliste nazionali per documentare l’ennesimo disastro ambientale causato della abbondanti piogge dei giorni scorsi.Sono segnali inequivocabili di un cambiamento che non è legato ad una fase ciclica ma è strutturale, permanente, destinato a restare anche dopo questa fase congiunturale.Evidenze concrete di come la soluzione sia nell’apertura invece che nella chiusura, nella realizzazione di comunità d’interesse e di interessi a sostegno della comunità invece che nel controllo.
venerdì 5 novembre 2010
il manifesto, Vauro e il giornalismo partecipativo.
Riportiamo un pezzo di un interessante post di PierLuca Santoro che analizza due eventi, chiamiamoli così, presenti sulla prima pagina del manifesto di oggi:
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1 commento:
Mi concentrerei sul fatto che, periodicamente, questo o quel giornale in difficoltà lanciano campagne per la propria sopravvivenza. Non credo risolvano granché, se non prolungare agonie che, per varie ragioni, non si risolvono certo con questi genere di appelli. Se un giornale non vende, o non vende abbastanza, non basterà l'ennesima colletta per risollevarne le sorti. Bisogna cambiare il giornale. O no?
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