Caro Pazzo,
credo sia giusto restare sulla notizia e dunque ricordare ancora Enzo Bearzot, in attesa del "coccodrillo" di Gianni Mura (ma Crosetti ne ha tratteggiato un ritratto a modo suo, dunque deliziosamente nostalgico e umano).
Cosa meglio di un libro del Vecio, dunque?
Allego la copertina e la quarta. Un paio di foto, di cui una molto cara a noi feticisti e un brano del libro che mi pare illuminante sul pensiero di questo grande uomo di calcio, quello che non c'è più. L'uomo e il calcio.
Saluti Frank57.
P.S. La foto di Bearzot e Brera è tratta dall'archivio del "Guerin Sportivo".
Come un’orchestra jazz
Quando penso ai miei azzurri mi viene facile il paragone con un complesso musicale, con un’orchestra di jazz. Sarà perchè a me piace il jazz, un tipo di musica che nasce dalla sofferenza, che deve essere eseguita con una intensa partecipazione emotiva, col cuore. Sarà perché sono un po’ fissato nel preferire una squadra vista come complesso affiatato e compatto piuttosto che un insieme di campioni, siano pure ammirevoli e talentosi. Il calcio non è diverso dalla musica, anche in campo contano l’affiatamento e il cuore, l’estro e la grinta: al momento giusto ci sta bene un «assolo», ma lo spartito devono conoscerlo bene tutti quelli dell’orchestra e alla fine gli applausi (o i fischi) vanno divisi fra tutti, in parti uguali.
A me tocca fare il direttore d’orchestra. Non so dire se ho le qualità giuste per un ruolo tanto delicato, posso solo dire che ce la metto tutta. Perché il calcio è una musica che mi suona sempre nelle vene e riesce a farmi sentire giovane, anche adesso che ho quasi sessant’anni, e mi piace fare il nonno, non troppo burbero, col mio nipotino Rodolfo. A quelli che ogni tanto mi chiedono se continuerò ad allenare la Nazionale, se resterò ancora a lungo in panchina o accetterò altri incarichi in azzurro o altrove, non so rispondere.
Posso solo dire che il calcio, con il Mundial o senza, fa ormai parte di me: e che nel mio lavoro posso accettare tante cose, anche spiacevoli, ma non sopporterò mai di modificare le mie caratteristiche naturali, il mio modo d’essere. Mi rendo conto, per come sono fatto, convinto sino alla testardaggine, di rischiare spesso l’isolamento: forse mi è indispensabile, forse è inevitabile, soprattutto quando si avvicina un appuntamento delicato come un Mondiale. Forse mi piacerebbe essere isolato senza essere solo: è possibile?
(pagg. 115.116)
Bearzot, Enzo. Il calcio mundial. 1. ed. Milano: Arnoldo Mondadori Editore, aprile 1986.
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