Caro Alessandro Sallusti,
Lei oggi sul Giornale ha scritto, a proposito delle intercettazioni: “primo: i telefoni di deputati e senatori non possono essere intercettati. Secondo: se intercettando una persona terza, gli inquirenti si rendono conto che stanno ascoltando la voce di un parlamentare, l’operazione va subito interrotta. Terzo: se i pm si accorgono solo a cose fatte dell’indebito ascolto, i nastri e le trascrizioni devono essere buttati, a meno che la Camera di riferimento, interpellata, non decida diversamente”.
Bene. Io sono d’accordo con Lei.
A questo punto, però, facciamo un’ipotesi.
Mettiamo che, intercettando - chessò - un banchiere, venga fuori che costui ha parlato con un deputato di quelli che a Lei, Sallusti, non stanno molto simpatici, uno di quei vecchi arnesi indifendibili che militavano nel PCI. Chi ascolta l’intercettazione non interrompe l’operazione, ma la trascrive e, benché non ci sia reato, essa finisce per essere pubblicata su un quotidiano che ne fa uno scoop di campagna elettorale.
Ecco, facciamo che si verifichi un’ipotesi del genere. Lei cosa farebbe, direttore Sallusti? Criticherebbe il giornalista che avesse deciso di pubblicarla (e, magari, pure l’editore che avesse acquistato il nastro)? Ne farebbe comunque lei stesso menzione in successivi editoriali per criticare quel deputato intercettato (“eh, quella volta che Tizio fu beccato al telefono con Caio mentre diceva...”)? Farebbe finta di nulla ed eviterebbe come la peste di citare il caso perché comunque l’intercettazione e la sua pubblicazione sono illegittime?
Vabbè, era così tanto per chiedere...
Nonunacosaseria
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