Allora, l’antefatto è questo: nella rubrica di Repubblica in cui sguazza a pinne libere il nostro buon Baricco – e lì racconta i suoi cinquanta libri preferiti degli ultimi dieci anni, roba che a farla io verrei letta quanto la bibbia in Iran –, l’illustre scrittore scorda di citare i nomi dei traduttori. Lo so, a voi la cosa non fa né caldo né freddo, ma provate a pigliare un testo in lingua sconosciuta – per me lo sono tutte – e vediamo un po’ se quel signore lì, quel traduttore manco nominato di striscio, non vi viene buono. Dai, su, provate. Fatto? Bene, andiamo avanti.Il resto del post lo trovate qui.
Una lettera viene allora inviata a Baricco, cito copiando: Come ben saprà, i libri non si traducono da soli e la traduzione, che per il traduttore significa spesso molti mesi di impegno onnicomprensivo – intellettuale, spirituale, psicologico e anche fisico -, determina il successo (e, purtroppo, qualche volta anche l’insuccesso) di un autore e di un’opera nella lingua di arrivo. Il suo nome di autore sì invisibile ma fondamentale dovrebbe accompagnare sempre quello dell’autore del testo originale. Pare che Baricco non abbia colto, sì, insomma, non ha risposto.
sabato 11 febbraio 2012
Caro signor Baricco, si ricordi dei traduttori, ogni tanto.
Su un bel blog che si chiama Giramenti, abbiamo trovato un post in cui l'autrice, Gaia Conventi, si lamenta con Alessandro Baricco reo di non citare mai il nome dei traduttori nella rubrica sul domenicale di Repubblica in cui elenca i 50 libri più belli dell'ultimo decennio. Leggete qui:
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1 commento:
e come potrebbe, tutto preso nella continua contemplazione di se stesso?
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