martedì 11 settembre 2012

Marione in ritardo.

Giusto per chiudere questa ora dedicata alla Busiarda, pubblichiamo il pezzo del Diretúr sul cambio di sede:

Erano quarantaquattro anni che La Stampa non cambiava casa. Approdò sulle rive del Po nella notte di Ferragosto del 1968, quando il piombo, le rotative e le macchine da scrivere dettavano i tempi e le regole. La televisione a colori sarebbe arrivata solo nove anni dopo e allora c’era l’idea che il progresso si misurasse in termini di grandezza. Poi sono arrivati i computer, i telefoni cellulari, l’informazione a ciclo continuo, Internet e lo spazio da conquistare è diventato immateriale. Oggi bisogna essere più compatti e veloci, ma anche più aperti e trasparenti. Così abbiamo deciso di ricominciare in un luogo completamente nuovo. La distanza fisica è poca, poco più di un chilometro, il cambiamento grande. Lavoreremo tutti in uno spazio aperto, costruito a cerchi concentrici, tecnologicamente avanzato e in cui ogni giornalista avrà sotto gli occhi l’intera produzione del giornale, dalla carta al digitale.

 Non è solo un aggiornamento di tecnologie questa nostra quinta sede – all’interno troverete la storia di tutte le «case» de La Stampa -, ma un tentativo di rispondere alle sfide dell’informazione e di un mondo che cambia a una velocità sconosciuta. La necessità è quella di tenere insieme tutti i mezzi su cui divulgare il nostro giornalismo, per raggiungere ognuno dei nostri lettori, quelli che devono inforcare gli occhiali e accendere la luce per leggere la carta, quelli che al buio scrutano uno schermo, quelli che ci seguono su un telefonino mentre camminano e quelli che hanno imparato ad amare La Stampa in luoghi dove fisicamente non eravamo mai arrivati.

 A ognuno però dobbiamo continuare a raccontare cosa è successo e perché, in modo chiaro, onesto, credibile e approfondito. Ogni viaggiatore che si rispetti si porta sempre dentro un pezzo delle sue radici, un amuleto capace di ricordargli da dove viene e in cosa crede. Per questo da ottobre nel cuore del giornale ci sarà un museo, aperto alla comunità dei lettori, in cui raccoglieremo il meglio della nostra storia, le testimonianze, immagini e parole, di 145 anni di vita del Paese. Questa notte abbiamo traslocato migliaia di scatoloni, convinti che il cambiamento è l’unica possibilità credibile quando il futuro sembra incerto e difficile. Vale sempre la pena reinventarsi, senza però dimenticare chi siamo.

Mario Calabresi - La Stampa

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