domenica 13 gennaio 2013

La vera storia di come Marco Travaglio diventó un giornalista.

La scrive Travaglio stesso sulla sua pagina Facebook, e ce n'è anche per Repubblica e il Diretúr:

Cari amici, ovviamente siete liberi di giudicare Servizio Pubblico e tutto ciò che scrivo e dico e faccio come meglio credete. Ma vorrei invitare quanti credono alla maxiballa raccontata da Berlusconi sulla mia assunzione al Giornale nel 1987 su raccomandazione dello scrittore Giovanni Arpino a scrivere le loro porcherie sulle pareti dei cessi pubblici, anziché imbrattare questa pagina. 

Arpino, mio amico, lo incontrai sul treno Torino-Milano il giorno del 1987 che andai a conoscere Montanelli, con cui avevo appuntamento. E fu presente al pranzo che ne seguì con Montanelli e me. Nel pomeriggio Montanelli mi ricevette nel suo ufficio e gli lasciai una busta contenente alcuni miei articoli. Mesi dopo, quando ormai Arpino era molto malato o forse era addirittura già morto (se ne andò nel dicembre del 1987), Montanelli mi telefonò perché aveva ritrovato i miei articoli e gli erano piaciuti: dunque mi chiese di collaborare al Giornale, come collaboratore esterno, senz'alcun contratto, nell'ufficio di corrispondenza di Torino. 

Fui assunto da Montanelli in persona, contro il parere dell'amministrazione che non voleva allargare gli organici, solo nel 1992, dopo che avevo avuto un'offerta di assunzione da Repubblica. E fui riassunto alla Voce, sempre da Montanelli, nel 1994, quando con lui e una cinquantina di redattori lasciammo il Giornale perché Berlusconi era entrato in politica e pretendeva di trasformare il Giornale di Montanelli in quello che poi è diventato: l'house organ del suo partito. 

Per fortuna nella mia vita non ho mai avuto bisogno di raccomandazioni per lavorare e sfido chiunque a dimostrare il contrario. Segnalo anche agli idioti che credono all'altra balla, quella secondo cui non avrei mai fatto altro che occuparmi di Berlusconi, ragion per cui gli dovrei eterna gratitudine, che il mio primo libro di argomento giudiziario riguardava le tangenti Fiat, infatti mi preclusi così qualsiasi possibilità di lavorare nell'unico giornale della mia città, La Stampa (dove infatti nel 1996 la mia lettera di assunzione, già firmata da Ezio Mauro, passato improvvisamente a Repubblica, fu cestinata dal suo successore Carlo Rossella per la gioia della Fiat). 

Ricordo infine che, a causa delle pressioni del gruppo Berlusconi e della Fiat, persi la collaborazione con il Messaggero, con il Sette del Corriere della Sera e con il Giorno, con cui collaboravo dopo la chiusura della Voce, all'inizio dei miei quattro anni di disoccupazione (tipici del raccomandato). Dopodiché Berlusconi tentò più volte, con denunce, analoghe pressioni e spiate dei servizi segreti, di rovinarmi la carriera, ma anche la vita con cause civili miliardarie (che per fortuna ho sempre vinto e lui ha sempre perso). 

Ora spero di vincere la causa che gli intenterò per avermi dato del "diffamatore professionale" l'altra sera, pur sapendo che non ho mai riportato alcuna condanna per il reato di diffamazione, diversamente dai suoi servi a mezzo stampa. Chi dunque pensa, e scrive su questa pagina, che io debba tutto a Berlusconi, o mi dà lezioni di antiberlusconismo senz'aver sentito (o capito) quel che gli ho detto l'altra sera a Servizio Pubblico, è vivamente consigliato di trasferirsi in luoghi a lui più consoni: i cessi pubblici, appunto.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

L'argomentazione di Travaglio in questo articolo mi sembra per certi versi deboluccia (a parte le offese agli "idioti" e il riferimento ai "cessi", più adatti ad un pezzullo da giornalino universitario che da quotidiano nazionale) Il fatto che il primo libro di Travaglio riguardasse la Fiat non smentisce in alcun modo il (più macroscopico) fatto che se non fosse esistito Berlusconi Travaglio non avrebbe potuto attaccarlo (come ha fatto giustamente e con un coraggio che è mancato ad altri, sia chiaro) e non sarebbe quindi diventato il guru che è diventato. Ne avrebbe potuti scrivere anche cento di libri sulla Fiat, ma non sarebbe diventato quell'idolo intoccabile e savianesco che è oggi. Quindi, in questo senso, Berlusconi NON come raccomandatore (ovviamente), ma come "bersaglio grosso" è stato la fortuna di Travaglio. O, come ha detto lo stesso Berlusconi, il suo "core business".

Anonimo ha detto...

Quando Travaglio viene attaccato risponde come una vecchia zitella isterica.E' innegabile che lui verra' ricordato soprattutto per i suoi libri e articoli su Berlusconi(la maggior parte degli editoriali sul Fatto riguardano il cav.).Travaglio ormai e' un disco rotto, recita a soggetto,e piu' che un giornalista ormai e' un personaggio,Colpa anche di chi in questi anni(anch'io che scrivo)gli ha dato un'importanza superiore al suo effettivo valore.

Sergio ha detto...

Propoata: mettiamo sempre un nome o un nick name, altrimenti a quelli non troppo svegli come me sembre che il sig. Anonimo dice delle cose diverse in post diverse

Giorgio ha detto...

Non mi sembra che Repubblica ed Ezio mauro facciano una brutta figura nel racconto di Travaglio: il quotidiano era pronto ad assumerlo, mentre il direttore ne aveva già firmato l'assunzione alla Stampa prima di passare a Repubblica (e poi, se non sbaglio, lo assumerà a Repubblica).