martedì 2 aprile 2013

Fabrizio Ravelli aspetta un segnale dal Dottor Jannacci.

Dalle pagine milanesi di Repubblica:

Carissimo dottor Jannacci, oggi che la salutiamo in Sant’Ambrogio – sì, proprio quello del giudizio di Dio brillantemente superato da Prete Liprando – mi permetta di chiederle un ultimo consiglio, o suggerimento o prescrizione, veda lei. Succede che la città di Milano si pone ora la questione di come ricordarla degnamente, con qualcosa di duraturo. Non che sia proprio indispensabile. Lei, dottor Jannacci, è per tutti noi da moltissimi anni uno di famiglia: un fratello, uno zio, uno a cui vogliamo un gran bene, insomma non la dimenticheremo di sicuro, anche in assenza di targhe o manufatti.
Però succede che l’assessore Majorino, che si occupa delle cosiddette politiche sociali, ha rispolverato una proposta avanzata quasi un anno e mezzo da questa piccola rubrica. Lei, allora, era ancora vivente seppur molto sofferente, e noi di questa sofferenza raccoglievamo notizie di seconda mano, per non rompere le scatole. Era il novembre del 2011, cominciava a far davvero freddo la notte, e la proposta era che il Comune dedicasse qualcosa di stabile – un ricovero, una mensa, un’osteria – proprio a quelli con le scarpe da tennis, che una volta si chiamavano senza disprezzo barboni, ma oggi che il disprezzo sociale è merce corrente di chiamano più esoticamente clochard.
Allora suo figlio Paolino aveva fatto sapere che la cosa non le dispiaceva di sicuro, anche se non usa dedicare qualcosa a un vivo. Ora che lei, dottor Jannacci, è ancora vivo e vegeto nei nostri cuori ma ha finito di soffrire quel che ha sofferto, ci piacerebbe avere una conferma. Ci mandi un segno in qualche modo, un accordo strimpellato basterà.

Fabrizio Ravelli

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