giovedì 27 marzo 2014

Sulla (nuova) Repubblica.

“Solo i necrologi sono uguali a prima” è il sottilmente perfido commento di virgela e in effetti...

Quando viene montata ad arte l'attesa si generano aspettative il più delle volte contraddette. Purtroppo la regola si conferma anche in questa circostanza.

Corre però l'obbligo di mantenere sospeso, almeno per quanto mi riguarda, il giudizio definitivo per una settimana. Infatti attendo di vedere anche l'edizione del sabato con Rcult (ci sarà, non ci sarà), la domenica per quanto riguarda l'omelia del Fundador e, soprattutto, i “cattivi pensieri” di Gianni Mura (sul quale tornerò successivamente). Gli inserti del lunedì: quello economico e quello sportivo), i dorsi “Salute” e “Viaggi”, per arrivare così a giovedì prossimo quando tutta la settimana di Repubblica si sarà dispiegata.

Intendiamoci, mi aspetto più delusioni che soddisfazioni, ma tutto questo si scrive dopo un solo giorno, comunque a caldo e, dunque, con tutti i limiti che dipendono da valutazioni così immediate. Di certo, però, una modifica è obbligatorio apportarla: il corpo dei caratteri, nel testo, vanno ingranditi. Basta mettere a confronto il giornale di ieri con quello di oggi, per rendersi conto di quanto più faticoso sia arrivare fino in fondo.

E poi quella numerazione delle pagine che, per sua natura, deve essere leggibilissima e invece è peggiorata.

Apprezzabile lo sforzo complessivo di rendere comunque più chiaro lo sfoglio, con il sapiente uso degli spazi, perché un maggior ordine si percepisce, ma 72 pagine sono tante, anche se oggi erano giustificate dagli inserzionisti. Però che fatica farsi largo tra la pubblicità ad ogni pagina e nel corpo degli articoli. Come trovarsi nella jungla e andare avanti a colpi di machete.

Se il contenente necessita di alcuni giorni per essere anche assimilato (ma così non è molto convincente) è il contenuto che si rivela “povero” rispetto alle attese. E il vero cambiamento si misura su una linea editoriale che, invece, non pare mutare. D'altra parte se i suonatori sono gli stessi...

La politica che “dovrà diventare fatto, cosa” per occupare spazio, come scrive il Diretùr nel suo editoriale, è invece egemone. Ma quella meschina politica interna dove diventano famosi tanti parolai di professione. Perché non dedicare uno spazio, magari settimanale, ai lavori parlamentari (fa qualcosa del genere “Il Sole 24 Ore”), perché se per esempio i grillini salgono sul tetto del Parlamento io vorrei capire dove finisca il folklore e dove inizia la sostanza.

L'intervista alla Pivetti, per dire, seppure nella rubrica “Sottotiro” è completamente inutile. Già, le rubriche. Penalizzata quella di Michele Serra. Illeggibile. E non si capisce il motivo per cui “Belpaese” abbia mantenuto lo stesso formato e “L'amaca” no. Le due pagine di commenti sono brutte, proprio come impaginazione. La risposta di Augias si legge con fatica (comincia accanto all'immaginetta e tracima sotto la lettera). Ai lettori spazio ancora più ridotto, come se la rubrica delle lettere fosse un accessorio: chiedere a “La Stampa”, edizione di Torino, cosa significhi il dialogo con i lettori.

Il confronto con i commenti di Repubblica delle origini è mortificante riferito a questa sezione.

Ancora. Poiché la copertina è numerata, ne consegue che la prima pagina è la 3 e così via, perciò è singolare che a pagina 4, per esempio, ci sia scritto che prosegue dalla prima pagina.
Gerarchizzate anche le firme? Carmelo Lopapa, a pagina 14 è in neretto. Silvio Buzzanca a pagina 11 in grassetto. Più evidente la firma del secondo che del primo. Colgo esempi saltando da una pagina all'altra.

E così facendo approdo allo sport dove è stato mortificato Gianni Mura. Ma dico: si dispone della firma sportiva più prestigiosa e il commento, anzi il punto, sulla giornata di campionato a lui affidato viene relegato in un colonnino lungo senza differenza nei caratteri tra la cronaca di Marco Azzi da Catania?

Il patrimonio di un giornale sono proprio le firme che devono essere valorizzate al massimo, senza peraltro venir adoperate come il tradizionale specchietto per le allodole.

Il restyling, comunque, non poteva comprendere una collocazione più adeguata alla critica televisiva? Altri tempi quelli di Beniamino Placido, ovvio, ma nel frattempo proprio quando la televisione è diventata così avvolgente (su RaiTre va in onda il sabato pomeriggio una delle trasmissioni più gradevoli da seguire dove si parla di televisione in televisione), ci si disimpegna in questo settore? Andava ripensata.

Mi soffermo sulla prima pagina, quella intesa in senso tradizionale, quella che marca la differenza più evidente. Bene aver riportato in alto la testata e ridimensionato il fascione di R2, se poi si potesse evitare... Purtroppo si tratta di un duro colpo per i feticisti, addio ai titoli a tutta pagina, addio alle “prime” da conservare se rimarrà questa forma. E le prime pagine del passato sono lì a dimostrarlo. La foto esclusiva del nuovo volto di Matteo Messina Denaro avrebbe potuto essere valorizzata meglio, soprattutto considerando che in taglio medio c'è quella del pluricondannato e si tratta di quasi omologhi...

“Il discorso” su Obama, “l'analisi” di Rampini: possibile non ci fosse un modo leggibile per inserire il titoletto? Per esempio a pagina 13 si scrive, nello stessa impostazione, “i movimenti” per intero.

Manca un respiro europeo ed internazionale, è stato scritto in un commento. Ed è vero. Esiste una consolidata tendenza provinciale nel giornalismo in generale che cozza contro la globalizzazione. Repubblica non può essere come gli altri giornali. Nel 1976 sovvertì il modo di fare ed intendere il giornale, come “Il Giorno” fu rivoluzionario al suo esordio. Adesso il quotidiano milanese non ha alcuna aderenza con la storica testata, ma Repubblica non deve ripiegarsi su se stessa e imprimere, per vocazione, una nuova svolta. Reale, concreta, efficace e non a livello di buone intenzioni. Anche perché così facendo tenderebbe ad assomigliare terribilmente al presidente del Consiglio. Ma questa è una battuta.

Frank

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