Anche il vicediretùr di Repubblica Massimo Giannini si sta rassegnando e oggi nel suo editoriale su Affari & Finanza confessa tutto il suo scetticismo sulle nuove idee di Renzi e Poletti in materia di economia:
Il sanguigno pragmatismo emiliano del ministro Poletti aiuta, in
una stagione densa di tante promesse e di troppe parole. Ma è forte la
sensazione che anche sul fronte del lavoro nelle strategie del governo
ci siano confusione e contraddizione.
Si continua a evocare il Jobs Act renziano, con un’enfasi che lo ha trasformato già in leggenda. Il testo è stato appena depositato in Parlamento. È una legge delega,
sulla quale le Camere si eserciteranno con la consueta solerzia. Fa
fede la legge delega sul fisco, appena giunta al traguardo: ci sono
voluti due anni di discussione, tra Camera e Senato. Nel frattempo che
succede al disperato esercito dei disoccupati e degli inoccupati, dei
sottoccupati e dei precari? Per ora l’unica cosa certa è il decreto
legge 34, che ha corretto la riforma Fornero sui contratti a tempo
determinato, introducendo un’ulteriore flessibilità in entrata con il meccanismo dei 36 mesi e delle otto proroghe.
Una
misura non proprio miracolosa, se è vero che nel Def si calcola un
impatto sul tasso di occupazione pari allo 0,2% e un effetto di spinta
sui consumi pari allo 0,4% del Pil. Ma a prescindere dalle
conseguenze sul ciclo, quella che si fatica a comprendere è la direzione
di marcia.
Nell’intervista uscita venerdì scorso su “Repubblica”,
Poletti spiega a Paolo Griseri che l’obiettivo del governo è rendere più
convenienti per le imprese le assunzioni a tempo indeterminato. «Oggi -
sostiene il ministro del Lavoro - un contratto a tempo determinato
costa l’1,4% in più di uno a tempo indeterminato. Diciamolo: è troppo
poco... Se un contratto a tempo determinato costasse il 10 o il 15% in
più di uno a tempo indeterminato, ecco che le cose potrebbero cambiare.
Se io azienda, dopo alcuni periodi di assunzione a tempo determinato, mi
trovo bene con un ragazzo, posso pensare che mi convenga assumerlo a
tempo indeterminato perché così risparmio».
Parole sante. Ma allora perché il decreto 34 che lo stesso Poletti considera «uno dei pilastri della mia proposta» e dunque «non modificabile» - va esattamente nella direzione contraria?
E poi che senso ha continuare a ragionare sulla distinzione tra
contratti a tempo determinato e contratti a tempo indeterminato, se nel mitico Jobs Act si contempla a regime un contratto unico a tutele crescenti?
Il cortocircuito, logico e politico, è evidente. Lo denunciano
giustamente Mario Seminerio su Phastidio.net e gli economisti su
lavoce.info. Tutti insieme, giriamo a Renzi il quizzone: è dunque il decreto lavoro, che liberalizza i contratti a tempo determinato, la vera e unica «riforma strutturale» del lavoro? La
flexsecurity scandinava va benissimo, e la vogliamo tutti. Me se invece
l’Italia punta sul modello Nestlè, che propone ai suoi dipendenti il
precariato a vita, allora bisognerà pure che qualcuno lo spieghi ai
nostri giovani.
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