venerdì 30 ottobre 2015

Grazie a dio è Venerdì (e Gianni Mura non è più una sagoma).

Speriamo che sia l'ultimo. Nel senso che il restyling del Venerdì è talmente perfetto che non si potrà fare meglio — sì, diciamo così ogni volta che anche Repubblica cambia faccia, e poi puntualmente dobbiamo ricrederci (e infatti è accaduto anche dopo il 27 marzo 2014).


In generale si tratta di un intervento soft, di quelli già apprezzati per gli altri gioielli di famiglia: l'Helvetica prende piede anche nelle rubriche più lunghe (Napoleoni, Veronese, Di Giacomo etc.) e talvolta viene utilizzato in bold. La testata si sposta a sinistra (negli ultimi due ritocchi l'abbiamo vista prima emergere da un orizzonte quasi marino, e con altro lettering, per poi riacquistare, subito dopo, il font originario con cui stagliarsi a centro pagina): il tutto permette di ricavare un richiamo in alto a destra – stavolta è il pezzo di GM – che presenta un altro simbolo distintivo: il segno + che ricorrerà anche all'interno, nelle testatine e nelle didascalie. Avvistato anche qualche cerchietto rosso, ma in misura più ridotta.







Restando in ambito circolare, il capolettera bianco su tondo nero ricorda il brand che RivistaStudio mette in coda ai suoi pezzi (terza foto sotto), ma piace anche in versione al negativo. Nel blocco firma esordiscono due elementi: la fascetta nera con autore in bianco (ma anche qui c'è la versione opposta: vedi Deaglio a pag. 59), o grigia con autore in nero, e il sommario su più righe nonché sottolineato (con una o più parole-chiave in bold); i sommarietti all'interno degli articoli, invece, tutti in maiuscolo bold bicolore ricordano molto quelli della Domenica, naturalmente di copro più piccolo.







Le sezioni sono indicate da quadrati di colori diversi, con un mood diciamo Affari&Finanza ma spostate a destra: bello e luminoso, in particolare, il ruggine di Dolcevita, sezione nella quale è una notizia la trasformazione di Gianni Mura da sagoma a ritratto — seppure senza connotati, un po' come il Goria di Forattini (i volti a colori degli opinionisti sono firmati Gipi, quelli in bianco e nero delle rubriche, tra cui appunto Mangia e Bevi, sono opera di Stefano Savi Scarponi: sua anche l'illustrazione a pagina 127).




A proposito di rubriche, segnaliamo l'assenza (definitiva?) di Bergonzoni nel blocco iniziale e l'addio di Marco Filoni a Barweb, che si trasforma in Scopertine (rubrica sulle copertine dei libri, non proprio originale: vedi Stefano Salis sul domenicale del Sole etc.); e infine lo slittamento in avanti dell'intervista di Brunella Schisa a favore della Recensione d'autore – oggi la firma Antonella Lattanzi – e, nella pagina accanto, il blocco di segnalazioni di Augias diventare rubrica in verticale su mezza pagina: i titoli in uscita sono invece opera di a.m.f. Daniela d'Antonio, moglie di Paolo Sorrentino, nel suo Sussurri e Grida (pag. 141) parla di Wes Anderson [assolutamente da leggere questo pezzo di Michele Masneri http://www.ilfoglio.it/gli-inserti-del-foglio/2015/10/26/festa-cinema-roma-wes-anderson___1-v-134233-rubriche_c285.htm dove si parla di una sera all'Esquilino con i coniugi Sorrentino e il regista cult di “Grand Budapest Hotel”].


Altra novità le testatine riquadrate con scritta in maiuscolo (vedi “Chimica naturale” a pag. 73): queste, sempre volendo forzare, ne ricordano vagamente alcune usate dal Foglio sul web (foto sotto).



Il sommario iniziale saluta i bei fotomontaggi di Silvio Coiante – ricordate le illustrazioni che da sole davano un'idea dei contenuti, con tanto di numero di pagina? Peccato averle perse – e si sviluppa in modo più schematico: i titoli sono incolonnati per sezione (e colore). I contenuti? Vabbe', la qualità è confermata. Al prossimo restyling.

MUDD

1 commento:

G.Rizza ha detto...

Io onestamente l'ho trovato particolarmente deludente, e definirlo restyling (Mura aiutaci!) mi pare eccessivo, già la definizione di "soft" (Mura aiutaci!) mi pare renda meglio l'idea sull'effettivo impatto nel giornale: quasi pari allo zero. Salvo solo i disegni di Gipi, per cui ho un debole.