mercoledì 9 dicembre 2015

Critichiamo ciò che amiamo.
















Fedeli al nostro motto, non possiamo far finta di niente quando ci arriva la segnalazione di questo articolo di Antonio Talia (che pubblichiamo integralmente) apparso su Facebook:

Ho trovato molto divertente l’intervista resa domenica scorsa da Ezio Mauro a Fabio Fazio nella trasmissione “Che tempo che fa”.

Nel dialogo con Fazio il direttore uscente di Repubblica racconta i suoi venti anni alla guida del giornale, facendo spesso appello alla “responsabilità” e alla “moralità del lavoro”, definendo quello di Rep. “il gruppo più bello che ci sia nel giornalismo italiano”.

Sono espressioni che fanno sorridere alla luce delle numerose "leggerezze" commesse da Rep: solo nelle ultime settimane, ad esempio, il quotidiano ha pubblicato l’intervista di Paolo Berizzi a Nathan Graff, il 40enne ebreo accoltellato a Milano, risultata poi completamente inventata.

Ma –come la maggior parte delle testate italiane- Rep. dà il meglio di sé sul fronte degli esteri, con frequenti copia-incolla da testate straniere, boutade assortite e notizie improbabili. In questi anni, uno che è riuscito a stabilire un record di esagerazioni, interviste inventate, notizie copiate e allarmi infondati è senz’altro Giampaolo Visetti, corrispondente di Repubblica da Pechino.

Per apprezzare gli exploit a cui Visetti ci ha abituato basta una ricerca su Google, ma adesso siamo finalmente in grado di capire come sia stato possibile inanellare una simile sequenza ininterrotta di imprecisioni e bufale deliberate: la verità è che Giampaolo Visetti non è un corrispondente da Pechino. Giampaolo Visetti è un turista.

In una telefonata con un funzionario cinese si scopre che nel 2014 Visetti ha trascorso in Cina solo 53 giorni.
Poco più di un mese e mezzo, il tempo necessario per un lungo viaggio di piacere, ma di sicuro non sufficiente a raccontare un paese come la Cina.
Il che non gli ha impedito di continuare a firmare i suoi articoli come se si trovasse a Pechino, in un anno come il 2014 dove tra il caso del volo Malaysia Airlines e le rivolte di Hong Kong di sicuro le notizie dall’Asia non sono mancate.

Le norme cinesi prevedono che i corrispondenti stranieri debbano trascorrere in Cina almeno 9 mesi all’anno, pena il mancato rinnovo del visto giornalistico. Ma la Cina è a tratti un ambiente difficile, l’inquinamento di Pechino ha raggiunto livelli inquietanti ed è normale cercare di passarci il minor tempo possibile. Quello che risulta un po’ meno normale, invece, è fingere di essere in Cina e firmare da Pechino articoli che, per quanto ne sappiamo, sono stati scritti dietro una scrivania di Roma o da un soggiorno della provincia di Trento.

Risparmio i soliti discorsi sullo stato di salute del giornalismo, anche se casi come questo abbattono la fiducia dei lettori e generano immensi danni a tutta la professione, e mi permetto solo di rivolgere una domanda: Repubblica sapeva? Il direttore Ezio Mauro e il capo del desk Esteri Stefania Di Lellis sapevano che il loro corrispondente trascorreva in Cina 53 giorni all’anno? Una domanda che, temo, resterà senza risposta, come è sistematicamente successo in passato quando 
qualcuno si è permesso di avanzare dei dubbi sull’operato delle grandi firme di Repubblica.

Antonio Talia su Facebook

Foto da Quotidiano Piemontese

2 commenti:

Occam ha detto...

Giù le mani da SDL

Simona ha detto...

Ma questo ha prove o lancia accuse tanto per fare?