mercoledì 21 febbraio 2018

Feticismi d'altri tempi: quando Leonardo Coen intervistò Giorgio Strehler per Repubblica.

Riportiamo dal profilo Facebook di Leonardo Coen, ex republicone ora al Fatto Quotidiano:

Sul sito Fb di Beppe Lopez, mio antico collega di Repubblica - siamo tra i sessanta giornalisti fondatori - campeggia la prima pagina del quotidiano, apparso nelle edicole il 14 gennaio del 1976, frutto finale di intense settimane preparatorie (ho dei menabò originali, quando Franco Bevilacqua cercava di tradurre le idee di Scalfari in “gabbie” grafiche). 


In quel primo numero fu pubblicata la mia intervista a Giorgio Strehler su Montale, e ne sono ovviamente orgoglioso: non potranno mai cancellarla...Conoscevo Strehler, proposi al capo redattore di Milano - il bravissimo Gianni Locatelli, un maestro - di intervistarlo, ma mica ero sicuro di riuscirci perché Strehler non era mai prevedibile, anzi, era capace di cambiare idea senza preavviso. Poi, c’era il fatto che stava fuori Milano, per preparare il suo nuovo spettacolo: sapevo che potevo rischiare di tornare a mani vuote. Lui stava a Portofino. Disponeva di una villa con splendida vista, un ricco amico gliela aveva lasciata a disposizione. Fui fortunato: mi accolse con grande gentilezza, indossava un maglioncino girocollo nero come i pantaloni, la sua compagna Andrea - austriaca molto affascinante - preparò un delizioso the con biscotti e cioccolatini viennesi. All’inizio Giorgio premise che era molto occupato e che non aveva quindi molto tempo a disposizione, che mi aveva accolto perché sapeva della mia grande passione per il teatro e perché aveva conosciuto quando era ancora un ragazzo mio padre, che aveva lavorato con Stoppa e la Morelli. Parlammo qualche minuto dell’iniziativa che avevo tentato con Carlo Fontana, Maurizio Porro, Alberto Negrin e Francesco Carnelutti: il “Piccolo dei giovani”. Dopo di che iniziò l’intervista. Temevo che sarebbe stata breve. Parlò invece per tre ore. Sempre più appassionato. Sempre più teatrale. 


Conservo il nastro di quel pomeriggio indimenticabile. Ad un certo punto si mise a recitare. In piedi, scrutando il mare dall’ampia vetrata del salone, scandì con voce roboante - il suo pregio, il suo vezzo, per qualcuno il suo limite - ma anche con toni struggenti alcuni versi di Eugenio Montale, che era la ragione del mio viaggio. Ossi di seppia divennero una sorta di lezione recitativa. Strehler era così, coi giovani (avevo 27 anni): burbero all’inizio, generoso durante, severo poi se era necessario, alla fine. Ma bastava un suo sguardo per capire se gli andavi a genio o se non lo avresti mai più visto. Quel pomeriggio d’inverno si parlò pure di un giovane autore, Raffaele Orlando, bravo e sventurato: era scomparso troppo presto, ucciso da un male feroce. Aveva scritto l’Annaspo, una commedia ambientata in un appartamento di un caseggiato popolare di periferia: amore, pazzia, fatica di vivere, di esprimersi, appunto, l’annaspo...lo stesso annaspo che provo nei ricordi di un’avventura “repubblicana” durata 37 anni (in verità gli ultimi tre, dal 2010 al 2013, come “collaboratore” post prepensionamento) che non fu soltanto professionale, ma profondamente esistenziale. Col senno di poi, in certi momenti di pessimismo e depressione, mi dico che fu anche una grande illusione...poi rifletto che sbaglio a pensarla così, no, fu un viaggiare straordinario, irripetibile, nelle storie del mondo e del tempo che ci accompagna. Certo, talvolta affiora l’amarezza. Pensi di aver trascorso gli anni migliori della vita vita a decifrare e scrivere la vita degli altri, e a scoprire che la tua è stata in qualche modo “allontanata”. Però la verità è un’altra. I ricordi sono esperienza, testimonianza e confronto: quasi sempre non convengono. La memoria è scomoda assai. Per questo la si mette al confino.

O no?

Nessun commento: