mercoledì 6 giugno 2018

Feticismi del Giorno: grazie a Cecchinato torna lo scriba Clerici. E il bel reportage di Francesca Mannocchi.

In prima pagina.

Nuovo titolone Cacciucchesco "a nove colonne". Dovrebbe essere l'ultimo di una lunga serie.

Il Diretùr commenta e critica il discorso di insediamento di Giuseppe Conte.

Tornano le faccine di NSDR (Luca Parmitano) e nel fogliettone torna anche lo scriba Gianni Clerici, che ci racconta l'impresa di Marco Cecchinato al Roland Garros, che ha potuto ammirare al vecchio Club di Villa Olmo a Como.



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Dentro il giornale.

Nove pagine, due più di ieri, di Cacciucco Gialloverde, bleah. Ma le ultime due sono ibride perché parlano di sanzioni alla Russia, nazione amica del nuovo governo.

Sebastiano Messina ha notato che Conte, nel suo discorso, ha utilizzato per ben 39 volte la congiunzione "anche".


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Matteo Pucciarelli intervista il Senatùr Umberto Bossi, Paolo G. Brera (con punto) la deportata Liliana Segre.

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A pag.10 curioso ticket Rosalba Castelletti-Vincenzo Nigro.


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A pag. 17 da non perdere il bel reportage da Mosul di Francesca Mannocchi, con fotografie di Alessio Romenzi.




Di Francesca abbiamo trovato in rete questa breve bio:
Francesca Mannocchi è una reporter freelance che collabora con emittenti italiani (RAI 3, LA7, SkyTG24) e testate italiane e internazionali - L’Espresso, Al Jazeera, Middle East Eye e Focus.
La foto, invece, è tratta dal suo account Twitter.


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Il coccodrillo di Pierre Carniti è toccato a Roberto Mania. RIP.


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Negli Spettacoli torna in Nazionale l'onnivoro Bolognini.


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Sport: apertura giustamente dedicata all'impresa di Marco Cecchinato al Roland Garros. E per l'occasione torna il titolo in negativo sulla fotona.


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Crosetti è andato a farsi un giro nelle risaie di Vercelli, dove la gloriosa Pro è retrocessa e il presidente cerca un aiuto, anche da Amazon.

1 commento:

Calaber ha detto...

C’era una volta il correttore di bozze

Caro Pazzo,
nelle pagine culturali di Repubblica persistono con i loro erroracci che rischiano di far fare brutte figure (se già non si desse per scontato che la responsabilità è da attribuire ad altri) persino a “mostri sacri” come Alberto Asor Rosa. Nella recensione di oggi al volume einaudiano di poesie di Enrico Testa si fa scrivere, per esempio, ad Asor Rosa che la “scelta espressiva” della poesia “è ancora di élite, insensibile al fascino del successo montano”. Proprio così, “montano”. Forse perché, pensiamo noi, nonostante la poesia aspiri alle vette, alle altezze sublimi, alle cime mirabili, il suo dire è così elevato e iperuranico che nemmeno il “successo montano” le interessa. A meno che l’illustre studioso non volesse dire “mondano” e allora si spiegherebbe meglio l’indifferenza della poesia verso il successo. Sicuramente quel che non si spiega (e non si accetta) è l’imperfetta vigilanza dei redattori della “Cultura” verso gli articoli degli illustri collaboratori di quelle pagine.