venerdì 11 ottobre 2019

“Quando il gioco si fa duro… i duri cominciano a giocare…” - La seconda parte del racconto testimonianza dell'ex marciatore Raffaello Ducceschi.

Pubblichiamo la seconda parte di un lungo articolo-racconto firmato dall'ex marciatore Raffaello Ducceschi, che dopo aver letto questo recente articolo di Emanuela Audisio apparso su Repubblica del 1 ottobre scorso (foto sotto) sul problema del caldo atroce che ha sconvolto i recenti mondiali di atletica leggera, ha deciso di dire la sua sul problema delle temperature bollenti durante le competizioni.

CAPITOLO 2

Alle Olimpiadi del 1968 a Città del Messico, che non è precisamente un posto fresco, si gareggiava a 2.000 metri di altitudine… velocisti e saltatori volavano… fecero record che “inspiegabilmente” durarono decenni… rarefazione dell’aria, minore gravità… totalmente sconosciute… invece maratoneti e marciatori pativano… i fisiologi inglesi organizzarono un convegno sul tema… l’unico che ci capiva qualcosa di altitudine era un fisiologo inglese, John Velzian che dal 1959 allenava in altura i primi keniani, li scoprì lui! Andò apposta a Nairobi alla ricerca di talenti, “scopritore e padre” di tutti i grandi fondisti africani, viene tutto da lui… nel 1968 sapeva già tutto… spiegò in un convegno ai fisiologi inglesi le sue esperienze “se ti alleni per qualche mese in altitudine, ti abitui” ma lo presero per pazzo (per altri dieci anni)…

Los Angeles 1984: Non si uccidono così anche i cavalli?

Chi (non) si ricorda della maratoneta svizzera a Los Angeles?


A Los Angeles c’era un caldo spaventoso, secco, a Gabriela Andersen-Schiess prese un colpo di sole, quando era già quasi al traguardo in pista, non correva, barcollava, non camminava… si trascinava, tutta storta, peggio di un burattino… sembrava sul punto di cadere ad ogni passo…”Aiutatela!” macché!

Dorando Pietri nelle olimpiadi del 1908 a Londra, in piena crisi, all’ultimo km della maratona, primo ad entrare allo stadio, crollò a terra più volte, fu rialzato e poi sorretto dai giudici emozionati, accompagnato al traguardo, vincitore, oro! e poi… squalificato dagli stessi giudici che lo avevano aiutato, per essersi lasciato aiutare da loro…
…da allora, finché non crolli a terra nessuno ti tocca più… ti lasciano crepare lì… non sia mai che post mortem, ti squalifichino!

Così la Gabriela svizzera, stoica percorse l’ultimo lentissimo giro di pista, sola, piegata in due… non mollava… arrivò da sola al traguardo, i giudici la sorressero dopo, 37ª maratoneta, ma non ultima di 44 che L.A. ne ha… (Dario Fo)

Però queste cose le paghi care, fisicamente, con la sua agonia, lunga quanto un giro di pista raggiunse la fama mondiale… tutti agonizzarono con lei in diretta TV… (guardatelo su YouTube). Come per Dorando, Nicola and Barth, “that agony is your triumph” (Joan Baez)… ma lei chiuse lì la sua carriera.

Ma pochi sanno che non fu la sola.

Maurizio Damilano, per esempio, rischiò la fine dell’elvetica nella 50 km di marcia.
Pochi giorni prima, nella 20 km, i favoriti erano Ernesto Canto, messicano, e Maurizio… outsider Raul Gonzales, pure messicano, campionissimo della 50 km…
La gara la fanno loro tre, verso il 15 km Maurizio li stacca… è in fuga verso la vittoria ma prende la seconda bandiera bianca di ammonizione, alla terza (forse) vai fuori… e rallenta, meglio non rischiare… invece i 2 messicani hanno due cartellini rossi, (segreti) nelle mani del giudice presidente, due proposte di squalifica alla terza vanno fuori (sicuro)… ma Maurizio non lo sa… il presidente dei Giudici è italiano, Tosi, ha le proposte in mano, potrebbe avvertire aumm aumm. Maurizio, è il vantaggio del presidente… potrebbe dirgli “Maurizio, non hai cartellini rossi, i messicani ne hanno due! vai!” non è un santo ma è pur sempre il protettore dei marciatori italiani… squalifica gli altri… (per questo c’è un solo giudice per nazione, per squalificare ce ne vogliono tre) ma quella volta se ne dimentica, non avvisa Maurizio e lui rallenta… meglio un bronzo oggi… che la squalifica… un altro oro, un domani… i messicani hanno anche loro le 2 bandiere bianche, non sanno di avere i 2 cartellini rossi, ma sono messicani ed il loro motto è “mejor morir delante que vivir detras”… se la giocano e gli va bene: rientrano… attaccano e staccano Maurizio, è guerra in Messico…
…ma Raul soffriva il caldo e si spugnava… Ernesto e Maurizio no, non soffrivano e non si spugnavano, ma Raul sì… ad ogni giro, attraversava la Sepulveda Avenue a 3 corsie, per prendere le spugne, diabolicamente poste dal lato sbagliato della strada… allungava almeno 6 metri e ad ogni giro perdeva un paio di secondi… calcoliamo… per 6 o 7 giri fanno 12 secondi… arrivò 6 secondi dietro Ernesto e perse l’oro… Insomma chi soffre il caldo si spugna, sempre…
chi non lo soffre non si spugna mai… o quasi…

Pochi giorni dopo gareggiammo sulla 50 km stesso caldo spaventoso… fondamentale spugnarsi… a Maurizio Damilano che al 40º (gradi e km) era secondo, in vista dell’argento, toccò quasi la stessa sorte della svizzera…
ma andiamo per ordine…
Pronti via Maurizio va dietro al grande favorito, Raul Gonzales, e dietro loro vari inesperti aspiranti suicidi, io e Bellucci strategia prudente, partiamo tranquilli, sole a picco, solito caldo secco, fu subitio tremendo, all’inizio gara prendevamo 5 o 6 spugne… ci buttavamo in testa anche l’acqua da bere… c’erano anche delle “docce nebulizzatrici”… bagnare non bagnavano una fava, rinfrescare meno che meno… funzionava così: per due secondi o tre, dal deserto californiano, entravi nelle nebbie della val padana a 35 gradi, e dopo aver provato l’ebbrezza dell’afa asfissiante lombarda tornavi a Los Angeles… grazie…

E a proposito di spugnaggio, nella foto qui sotto un momento del Campionato Italiano di 50 km di marcia nel 1984 svoltosi a Palermo. Da sinistra: Sandro Bellucci (arrivò 2º), Giorgio Damilano, Maurizio Damilano, Raffaello (che vinse).



Ma l’acqua non era sufficiente.

Siccome c’erano pure dei bicchieri con la scritta da miraggio “Ice” allora io e “Ciccillo” Sandro Bellucci facemmo entrambi in tempi diversi la stessa minQuyata alla disperata ricerca di refrigerio (ma l’unico Re Frigerio lí era Ugo, il campione milanese che alla sua terza olimpiade, dopo tre ori nelle prime due, vinse il bronzo nella 50 km a Los Angeles nel 1932…) dopo aver scoperto che l’acqua quando è solida non si riesce a bere, d’istinto, provammo a muovere il bicchiere di cubetti di ghiaccio, capovolto in testa, per vedere se per “frizione” sui capelli ci saremmo bagnati un po’…macché! io mi dico “ma sei scemo? come ti viene in mente che possa funzionare?” e butto cubetti e bicchiere… il giro dopo Bellucci mi passa, provo a seguirlo… al tavolo del ghiaccio, vedo che prova anche lui a frizionarselo sui capelli e lo butta anche lui incazzato… mi sento un po’ meno cretino… i chilometri passano, raccogliamo cadaveri cotti dal sole, uno dopo l’altro, il caldo aumenta… lo spugnaggio è uno ogni giro, 2,5 km… ma l’acqua non basta mai e verso la fine della gara Bellucci ed io cominciamo a rovesciarci i SECCHI d’acqua delle spugne in testa… senza fermarsi, al volo, 1, 2, 3, 4 secchi d’acqua uno dietro l’altro… quanti ne riusciamo ma dopo un giro siamo già SECCHI…

Maurizio in fuga con Gonzales… son soli… verso il 40º (km o gradi?) Maurizio patisce il caldo e si stacca, è ancora secondo dietro Raul Gonzales (quello che perse l’oro nella 20 km per spugnarsi)…ma poi arriva l’insolazione…

…un poco di topografia: la gara si svolge sulla Sepulveda Avenue, su un rettilineo di 1.250 metri, con 2 boe per un totale di 2 km e mezzo… in realtà non è solo il percorso di gara, potete controllare su gugol maps…la Sepulveda è un rettilineo di 30 km che attraversa Los Angeles… nessuna curva, neanche un accenno, uno di quei colpi di righello degli urbanisti del nuovo mondo… ma per Maurizio no, per lui il sole fa un eccezione e gliele dà… e dopo la gara Maurizio ci racconta: “all’improvviso ho visto la strada tutta a curve… il pubblico mi correva incontro… poi scappava indietro… poi di nuovo verso di me e poi di nuovo si ritirava indietro… molte volte… non capivo…ma ero io…” i suoi fratelli (Giorgio, suo gemello, 11º alle olimpiadi di Mosca era riserva, e Sandro il fratello grande allenatore (in entrambi i sensi, come fratello e come allenatore, mettete la virgola dove volete…) lo aspettano al tavolo dei rifornimenti in ansia per l’argento oramai sicuro… e lo vedono arrivare a zig zag, seguendo le curve che non ci sono… lo prendono e lo obbligano a sedersi e ritirarsi… per non fare la fine della svizzera… ma la Gabriela, entrata in pista, non la poteva più fermare nessuno, loro invece sono in strada e lo fermano… per continuare a vincere medaglie a volte bisogna ritirarsi… ha ragione Emanuela Audisio così si ammazzano anche i cavalli...

Nella foto sotto Ducceschi alle Olimpiadi di Los Angeles 1984 impegnato nella 50 km di marcia in cui si classificò quinto con il tempo di 3h59'26". Quella che si vede è la Sepulveda Avenue.


Raffaello Fabio Ducceschi


FINE SECONDA PARTE

La prima parte la trovate qui

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