martedì 5 maggio 2009

Il commissario Calabresi.



Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

"Scusate se rubo codesto spazio, ma, facendo una accurata ricerca, ho trovato, a malincuore, nei nomi dei firmatari dell'appello contro il commissario Calabresi pubblicato dall'Espresso, oltre ad altre importanti personalità, anche moltissime pietre miliari de "La Repubblica". Ora, non è questo il problema, ma lo è il fatto che nessuno di loro ha poi ritrattato. Qualche nome? Nello Ajello, Giorgio Bocca, Umberto Eco, Eugenio Scalfari, Bernando Valli. Di loro nutro comunque grande stima, ma non dovrebbero forse ammettere, come hanno fatto Norberto Bobbio, Carlo Ripa di Meana, Paolo Mieli, Folco Quilici, di aver commesso un errore netto, grave, basti ricordare cosa successe un anno dopo quell'appello?"

Lettera Anonima

7 commenti:

Mario Cavaradossi ha detto...

La postuma riabilitazione del commissario Calabresi ( il "commissario finestra", come lo chiamavano prima dell'omicidio Pinelli ) mi lascia mooolto perplesso, anzi: mi fa un tantino schifo.

Mario Cavaradossi ha detto...

Sono tre anni che Calabresi è nella squadra politica, ma già si mette in evidenza quando deve fronteggiare le manifestazioni e lo fa con rara rabbia, riuscendo a procurarsi alcune denunce per ATTENTATO AI DIRITTI DEI CITTADINI contraddicendo le voci che (oggi) lo dipingono come un “moderato”.
Il 25 aprile 1969 scoppiano due bombe alla Fiera di Milano ed alla stazione centrale, Calabresi indirizza le indagini in una sola direzione, sui gruppi extraparlamentri di sinistra e sugli anarchici, indagini che portano al fermo di 15 militanti di sinistra; si aspettano mesi per interrogare gli arrestati, ma nonostante la cocciuttaggine del commissario aggiunto, dopo sette mesi i fermati vengono rilasciati per mancanza di indizzi, alzando un caso politico che finirà davanti al tribunale dell'Aia per i diritti dell'uomo.
Il 12 dicembre 1969 alle 16:37 in piazza Fontana, nel centro di Milano, esplode una bomba provocando diciassette morti e ottantotto feriti, ma in quel giorno non sono le sole: una seconda bomba fu rinvenuta a Milano nella Banca Commerciale, successivamente fu fatta brillare distruggendo elementi importanti per risalire a chi avesse preparato gli ordigni. Altre tre esplodono a Roma causando 17 feriti.
Le indagini milanesi guidate dal Commissario Calabresi si indirizzano, immediatamente e senza dubbi, su anarchici e gruppi di sinistra portando al fermo, senza prove o accuse, di centinaia di persone tra cui un ferroviere anarchico: Giuseppe Pinelli.
Per smentire le ciarle di chi ancora oggi sostiene la storia del buon commissario, Pinelli racconta ad un fermato di sentirsi perseguitato da Calabresi e di avere paura di perdere il posto alle ferrovie, inoltre lo stesso fermato, sbirciando i fogli d'ordine lasciati su una scrivania legge del “trattamento speciale” riserbato a Pinelli: non farlo dormire e tenerlo sotto pressione per tutta la notte.

Mario Cavaradossi ha detto...

Il 15 dicembre nelle stanze al quarto piano dell' ufficio politico ci sono ancora un centinaio di fermati che, dal venerdi' delle bombe, sono sottoposti a continui interrogatori e pestaggi. Aldo Palumbo, cronista dell'Unita' di Milano, muove i primi passi per attraversare il cortile ed è l'unico a sentire il tonfo della caduta di Giuseppe Pinelli dalla finestre dell'ufficio del commissario Calabresi, lo vede a terra, morente. Il giorno dopo troverà la sua casa sotto sopra in segno di chiaro avvertimento nel caso che Pinelli, morente, avesse rivelato qualche cosa. La mattina dopo tutti i quotidiani escono a grossi titoli con la notizia del suicidio del Pinelli.
Perché Pinelli avrebbe dovuto suicidarsi?
Tutti quelli che lo conoscevano sapevano che disprezzava i suicidi e li condannava, diceva che erano vigliacchi. Non solo: era anche un veterano degli interrogatori (oltre 20) e conosceva bene i sistemi della polizia. Il trucco della confessione di Valpreda (il maggiore indiziato come esecutore della strage) con lui non poteva funzionare.
La storia di Pinelli suicida non regge perché chi si butta nel vuoto fa un salto e non sfiora il muro, come accadde a Pinelli e non rimbalza su due cornicioni.

Mario Cavaradossi ha detto...

Pinelli è stato gettato dalla finestra dell'ufficio di Calabresi.
Tralasciando le incongruenze, le menzogne ed i depistaggi sulla morte di Pinelli, è utile ricordare, per capire chi era Calabresi, che nel 1971, dal processo sugli attentati del 25 aprile, saltano fuori particolari umilianti per la polizia, verbali spariti, altri falsificati, biglietti messi in tasca ad un imputato. Le accuse crollano, Calabresi viene fischiato in aula e gli sono accollate tutte le responsabilità. In quei giorni la stampa rinfocola le accuse a Calabresi, anche giornali notoriamente non di sinistra lo accusano.
Nonostante queste premesse, la polizia premia Cabresi nominandolo commissario capo. Un modo per dire : “bravo hai fatto un buon lavoro”.

A questo punto la figura del commissario capo Calabresi è chiara.
Torture in interrogatorio, depistaggio di indagini, verbali falsificati e uccisione di Pinelli.
Come sappiamo la realtà giudiziaria è una, spesso pilotata, molte volte di parte.
La realta storica ha, di contro, fatto il suo processo ed emesso la sua sentenza.

Mario Cavaradossi ha detto...

(... ) Pinelli morì tre notti dopo, precipitando dalla finestra dell' ufficio di Calabresi, dentro un' aiuola stenta, coperta di neve sporca. Una morte, oscura, ancora oggi mai chiarita. Seguita da un' incauta conferenza stampa del questore Marcello Guida, dove Pinelli venne definito suicida e complice nella strage. A fianco del questore con altri funzionari, Calabresi pronunciò appena una frase: «Lo credevamo incapace di violenza, invece... è risultato legato a persone sospette». ( da un articolo di Giampaolo Pansa )

Mario Cavaradossi ha detto...

Quella sera a Milano era caldo
ma che caldo, che caldo faceva,
"Brigadiere, apri un po' la finestra!",
una spinta ... e Pinelli va giú.

"Sor questore, io gliel'ho giá detto,
le ripeto che sono innocente,
anarchia non vuol dire bombe,
ma uguaglianza nella libertá".

"Poche storie, confessa, Pinelli,
il tuo amico Valpreda ha parlato,
é l'autore di questo attentato
ed il complice certo sei tu".

"Impossibile!", grida Pinelli,
"Un compagno non puó averlo fatto
e l'autore di questo delitto
fra i padroni bisogna cercar".

"Stai attento, indiziato Pinelli,
questa stanza é giá piena di fumo,
se tu insisti, apriam la finestra,
quattro piani son duri da far".

C'e' una bara e tremila compagni,
stringevamo le nostre bandiere,
quella sera l'abbiamo giurato,
non finisce di certo cosí.

E tu Guida, e tu Calabresi,
se un compagno é stato ammazzato,
per coprire una strage di Stato,
questa lotta piú dura sará.

Quella sera a Milano era caldo
ma che caldo, che caldo faceva,
"Brigadiere, apri un po' la finestra!",
una spinta ... e Pinelli

Mario Cavaradossi ha detto...

Sulla morte di Giuseppe Pinelli si aprì una prima inchiesta che concluse con una archiviazione. Il 24 giugno 1971 la vedova Pinelli presentò una denuncia. Fu aperta una nuova inchiesta assegnata al Dr. D'Ambrosio. La sentenza dell'inchiesta sulla morte di Giuseppe Pinelli fu emessa nell'ottobre 1975. La sentenza concluse che la morte di Pinelli non era dovuta a suicidio o omicidio, ma a un malore che avrebbe provocato un involontario balzo del Pinelli dalla finestra della Questura. L'inchiesta accertò inoltre che nella stanza al momento della caduta erano presenti 4 agenti della polizia e un ufficiale dei carabinieri, che furono prosciolti. L'inchiesta della magistratura, condotta da Gerardo D'Ambrosio, accertò il fatto che il commissario Calabresi non era presente nel momento della caduta. Gerardo D'Ambrosio scrisse nella sentenza: "L'istruttoria lascia tranquillamente ritenere che il commissario Calabresi non era nel suo ufficio al momento della morte di Pinelli". [5] Un anarchico presente in Questura e trattenuto in una stanza vicina sostenne invece che il commissario era presente nella stanza da dove cadde Pinelli