Non si tratta di stare o meno con le Sardine, considerarle un fiore inatteso spuntato nel deserto civile della nostra depressa Italia oppure una combriccola di giovanotti senza spessore né futuro. E neppure conta che il movimento di piazze, dopo nemmeno tre mesi di vita, sia già sull'orlo di scissioni, polemiche infantili, incidenti di percorso. Forse sarebbe un peccato se la vitalità democratica che quattro ragazzi di Bologna hanno saputo trasmettere in così poco tempo alle moltitudini di rassegnati sparsi da Trento a Palermo andasse perduta come le famose lacrime nella pioggia.
Come sarebbe un peccato se il loro educato no alla cultura montante della rabbia alla bocca e dei bacioni fasulli rifluisse nell'oblio, lasciandosi dietro la scia di un'ipotesi che non si è verificata. In molti ci sperano, anzi pregano che accada. Magari succede davvero, con sommo gaudio di quel che resta dei Cinquestelle, così frastornati da pensare che la loro improbabile rimonta passi dall'evaporazione dal campo di un antagonista immaginario. Per non dire delle truppe salviniane, fermate a Bologna anche da una marea pacifica, e imprevista, che ha infilato fiori nei cannoni della loro propaganda. Addio Sardine, è stato bello. Possibile. Ma non è questo il nocciolo della questione.
Il primo di febbraio, seimila Sardine (così si firma il nucleo nascente del banco ittico) rivolgono attraverso Repubblica un invito al premier Conte. È una lettera dai toni garbati.
È anche una lettera in qualche modo sollecitata. Qualche giorno prima, era stato lo stesso Conte, ospite di Otto e mezzo di Lilli Gruber, ad aprire loro la porta: "Se me lo chiedessero, avrei piacere di incontrare le Sardine e ascoltare le loro istanze".
Eccoci, rispondono loro. E con molto riguardo verso la figura istituzionale del presidente del Consiglio gli scrivono che sarebbero felici di accogliere il suo invito, sentendosi di rappresentare "quella connessione con i cittadini che la politica va cercando da decenni e quell'abbraccio che per troppo tempo è mancato tra noi italiani". Puerile? Mieloso? Retorico?
Foss'anche, è un appello che viene da una forza nata dal "territorio", quel territorio che è ormai l'araba fenice citata e vanamente inseguita da qualsiasi formazione partitica. "Dobbiamo tornare sul territorio, dobbiamo parlare ai giovani delle periferie, dobbiamo ripristinare il contatto con la gente". Di buone intenzioni è lastricata la strada della crescita dell'astensione o del voto di protesta a vantaggio di formazioni dichiaratamente anti-tutto, che sono poi due facce della stessa medaglia.
Le seimila Sardine, che poi diventano 40 mila o 80 mila a seconda della città dell'appuntamento (da Bologna a Palermo, passando per la festa grande di Roma), sono un ponte che chiede soltanto di essere attraversato.
Nella lettera a Repubblica, con parole semplici e dirette, invitano Conte a varcare la soglia di quel ponte, confrontandosi su tre questioni: il Sud, "un filo un po' maltrattato, in cui tante giovani menti crescono, si formano ma poi vanno via"; la Sicurezza, non nell'accezione di contrasto al salvataggio di vite umane ma in quella di diritto al lavoro, all'assistenza sanitaria e all'istruzione; la Dignità della Democrazia (tutto maiuscolo), "arteria vitale che ogni giorno collega la libertà al rispetto delle regole". La conclusione è, se possibile, ancora più conciliante: onorevole presidente, ci consideri per un giorno non come oracoli, cosa che non siamo, ma come dei messaggeri. Ci ascolti, per favore.
Ascoltare, in democrazia, dovrebbe essere il primo comandamento di chi amministra. Quindi anche di chi fa politica. Dovrebbe. Giuseppe Conte non è un politico ma sta imparando il mestiere. E lo sta imparando anche velocemente, tenuto conto che in un anno e mezzo è già stato due volte presidente del Consiglio e ha da poco annunciato, proprio su questo giornale, che ove mai finisse questa esperienza di governo lui non tornerà a fare l'avvocato o il professore di Diritto, quale era prima del sorprendente arruolamento ai vertici dell'esecutivo a trazione 5 Stelle. Definitivamente folgorato dalla cosa pubblica, il premier resterà in politica (con chi? a fare cosa?) e dunque si porta avanti con l'apprendistato.
Il che significa, per esempio, allenarsi a dire e non fare, sviare, smussare, evitare grane, sopire, rinviare, "cronoprogrammare" agende e vertici per un futuro migliore. Anche mentire, quando occorre, perché la politica sarà pure "sangue e merda", come l'ha fotografata una volta per tutti il passionale Rino Formica, ma è anche e soprattutto una professione ai confini della magia, dove la finzione e l'apparenza sono il trucco più antico e sempre in voga per stare in equilibrio sulla corda sottile del potere.
Smaltita la paura del dopo voto in Emilia Romagna, tributati i doverosi e calorosi grazie all'inatteso popolo delle Sardine, la scena è improvvisamente mutata, i portoni del Palazzo si sono richiusi, il nostro affaticato governo ha varato una legge soltanto nell'intero mese di gennaio, e il suo capo, Giuseppe Conte appunto, non ha ancora trovato un minuto per rispondere alla richiesta dei volonterosi pesciolini. Lettera morta, la loro, letteralmente. Neanche un vago: grazie, vi chiamerò appena possibile. Niente. Rimandare, non irritare inutilmente gli amici grillini, che hanno già il pelo ritto di loro, nascondersi dietro le più svariate urgenze, smentire senza smentirla la disponibilità prima concessa e poi di fatto negata a un confronto con un pezzettino subacqueo ma autentico della tanto corteggiata "società civile".
Niente di grave, Presidente. Domani è un altro giorno, i ragazzi non hanno pazienza, il banco delle Sardine si incarterà da solo con qualche altra mossa improvvida tipo la visita a casa Benetton, che tanti lazzi ha suscitato sulla loro indipendenza. Lasciamole nuotare ancora un po' nel loro brodo, finché un tombino le risucchierà e la superficie del mare tornerà calma e placida come prima di quel 14 novembre, esordio a Bologna di 12 mila persone, strette strette l'una all'altra, con in mano dei cartoncini colorati a forma di pesce. Una cosa mai vista, anche per Salvini, che infatti accusò, e non poco, la sorpresa. Se il Conte bis naviga ancora, è anche per quell'onda anomala e spontanea di partecipazione. Nata fuori dai partiti, dai circoli intellettuali, dai circuiti tradizionali della creazione di consenso. Sprecarne l'energia, scansandosi per evitarla ora che non serve più, non aiuterà né questo governo né la buona politica a recuperare terreno nei confronti di un Paese sempre più tentato da altre sirene.
Carlo Verdelli
Nessun commento:
Posta un commento