mercoledì 30 luglio 2008
I giornali non vendono? Sono fatti troppo bene.
Escono i dati di diffusione della stampa tra maggio 2007 e aprile 2008 (la cosiddetta “media mobile”): Corriere –3,1%, Repubblica –1,3%, Giornale – 6,6%, Messaggero –4,6%, Sole24Ore –2%. Peggio per i settimanali: Tv Sorrisi e Canzoni –4%, Di Più –6,5% Oggi –8,1%, Famiglia Cristiana –13,3%, ecc.
La colpa è del caro-bollette, del carobenzina, del caro-affitti, del caro-mutui… ma non manca chi punta il dito contro i giornali stessi: troppo politicizzati, difficili, elitari, rivolti a un pubblico ormai frammentato per interessi e modalità di fruizione. A critiche del genere la Federazione degli Editori, nello studio “La stampa in Italia (2005 – 2007)” reperibile su www.fieg.it, risponde con decisione: “L’accusa è infondata ed è frutto di un pregiudizio che non si basa su fatti concreti”.
Anzi, “semmai si dovrebbe dire il contrario, che i giornali italiani sono fatti troppo bene” perché “ricchi di pagine, di inchieste, di indagini, di cultura,
di intrattenimento e per questo motivo i costi di produzione sono molto elevati”. “Non sono un insieme di notizie ma sono soprattutto un percorso informativo, un modo di organizzare l’informazione selezionando la montagna di notizie che arriva da ogni dove”. Anzi, proprio “dalla capacità di offrire un’informazione organizzata e
ragionata nasce quella credibilità che lega la testata ai lettori in un rapporto
che è di fiducia e anche di condivisione di una linea politico-culturale che è l’identità del giornale”. Ma perché allora i giornali sono così poco comprati (e sempre meno)? “La risposta non è solo di carattere economico, perché a non essere granché comprati in Italia non sono soltanto i giornali ma, in generale, la cultura”. Ossia la scarsa attitudine all’acquisto di giornali è in linea con il livello culturale del Paese “che negli ultimi anni si è andato deteriorando
e oggi appare preoccupante”.
Tanto che siamo all’ “emergenza educativa”: i quindicenni italiani “sono al 33° posto per competenza di lettura e al 36° per cultura scientifica” nei paesi
OCSE. Ma gli editori non stanno a guardare e già si profila un’inversione di rotta rispetto a solo un paio d’anni fa, quando il boom di gadget e collaterali aveva sostenuto i conti degli editori e gli uomini di marketing avevano soffiato il ruolo guida ai direttori dei giornali. Oggi la parola d’ordine è “back to basics” e a pronunciarla su Il Sole24Ore è Maurizio Costa, a.d. di Mondatori. Torna centrale il prodotto, i suoi contenuti, la sua ricchezza informativa e la sua godibilità. Forse c’è ancora qualcosa da migliorare: ed è già una buona notizia.
Mauro Broggi - pianetaterra@mediaforum.it
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