venerdì 2 ottobre 2009

A rimorchio del New York Times.



Disastro in Indonesia: Bultrini continua a scrivere dall'Italia. E così Repubblica si affida alla partnership con il New York Times pubblicando il reportage dei due inviati del giornale americano a Padang.

10 commenti:

aghost ha detto...

be' non mi sembra neanche sbagliato. L'epoca degli inviati allegri è finita.

Ha senso mandare un inviato italiano, con relative note spese, a samoa?

Enrico Maria Porro ha detto...

E' vero, Aghost. Le vache grasse non esistono più, pero considera che Raimondo Bultrini abità in Estremo Oriente e un salto là lo poteva fare...

aghost ha detto...

mah... ma bultrini abita dove? "Estremo oriente" è una zona geografica un pelo ampia :)

E comunque, cosa potrebbe aggiungere Bultrini rispetto ai due inviati del NY?

Non so quanto costi mantenere un inviato o corrispondente, suppongo non poco.

Posso capire negli usa, o in cina... ma in altri posti? Ormai con internet le notizie viaggiano velocissime, probabilmente molti inviati italici sono inutili (diverso invece è il discorso degli inviati di guerra, o in altre situazioni dove l'inviato può fare effettivamente la differenza).

Barbapapa' ha detto...

Pienamente d'accordo con te, Aghost. Ci sono eventi internazionali che, pur di grande impatto mediatico, non vale la pena (al di la' delle ovvie considerazioni sui costi) seguire in loco con inviati. Tv e internet su questo versante sono imbattibili e l'italiano predilige le tragedie di casa nostra. Inoltre, si rischia di avere il giornalista che ci parla di se' ("il nostro inviato nella tragedia delle Samoa") e ci fa un'articolessa gonfia di colore e di dolore, con l'ego ipertrofico in primo piano.
Quindi, corretta la decisione, a parer mio (diverso invece il caso del maremoto del 2005 che coinvolse molti italiani).
Ma dove abita Bultrini?

aghost ha detto...

ma infatti. Mando inviati a messina piuttosto, mandarli a samoa non frega niente a nessuno, oltre a costare un occhio della testa. Li mando a kabul, dove ci sono i nostri... insomma dove abbiamo degli interessi diretti.

Io non so quanti inviati abbia repubblica e quanto (ci) costino (dico "ci" perché anche Repubblica vive di finanziamento pubblico).

Spero non siano come quelli della rai, di cui ho sempre avuto una pessima impressione. Cioè di splendidi imboscati che facevano un pezzo di colore e lavoravano si e no mezza giornata a settimana.

Quanto ci è costato paternostro col big ben sull sondo? O Frajese con la torre eiffel? Ripeto, poteva andare bene 20 o forse 10 anni fa, oggi mi pare abbastanza assurdo.

aghost ha detto...

e mi sono dimenticato del mitico fancazzista Caprarica da Londra!!!

Mai visti servizi più verbosi e insulsi dei suoi

Enrico Maria Porro ha detto...

non so esattamente dove abita bultrini. so che stava di stanza in estremo oriente...ma forse adesso è tornato in italia.

sostanzialmente avete ragione sugli inviati nei territori "non italiani". d'accordo anche sull'investire in inviati a messina piuttosto che a samoa. tant'è che adesso ci faccio anche un bel post

Barbapapà ha detto...

Il tema dei corrispondenti all'estero evocato da Aghost è sempre attuale. Nella mia personale classifica dei peggiori metterei al primo posto il pessimo Giovanni Masotti (con un brillante excursus di servo craxiano prima e berlusconiano poi) da Londra che, a spese nostre (ebbene sì, mi ostino ancora a pagare il canone Rai), si limita a fornirci notiziole di folklore e colore (e basta con 'sta famiglia reale inglese: in Italia interessa solo alle persone delle vecchie generazioni) armato del suo bel foulard d'ordinanza. Immagino la sua giornata tipo: sveglia alle dieci, lettura dei giornali, sguardo alla tv e poi selezione (faticosa...) delle notizie da scopiazzare per il tg. Poi, via a fare shopping e a scegliere il marciapiede giusto ove farsi riprendere nei servizi per il tg. Da far rimpiangere Paternostro.
In generale, ho sempre avuto la sensazione che il corrispondente dall'estero fosse la quintessenza del detto "fare il giornalista è sempre meglio che lavorare". Credo che non siano molti i giornalisti (tra stampa e TV) in grado di darti una copertura originale, approfondita e non riflessa di quanto accade in loco. In casa nostra mi viene in mente Rampini, mentre fatico a capire lo sbiadito Martinotti da Parigi anche se ,a sua parziale giustificazione, c'è l'ingombrante ombra del monumento Valli.
Trovo che Franceschini si sia un po' adagiato tra le mollezze e gli agi londinesi dopo gli anni ruggenti tra NY, Mosca e Gerusalemme. Capisco che l'Inghilterra di Gordon Brown sia molto depressa, lontana dagli anni cool di Blair, ma possibile che lui debba essere ormai impiegato solo per redigere la rassegna stampa internazionale sul caso Berlusconi?
Mi piacerebbe poi che vi fosse una maggiore rotazione nelle varie sedi (anche se capisco che una permanenza stabile aiuta ad avere una maggiore integrazione del giornalista nel milieu politico-economico-sociale locale), ma complessivamente il livelo medio dei corrispondenti di Repubblica a parer mio è elevato: Bonanni, Coen, Visetti, Stabile, Tarquini sono giornalisti molto solidi e capaci.
Chiudo con una mia personalissima classifica dei migliori corrispondenti di Repubblica nel corso di quest’ultimo ventennio, classifica condizionata sia dal momento storico che dalla capacità dimostrata di saper raccontare l'economia del paese (come Rampini oggi, o in passato Panaro e Barbieri):
1 - Rampini da San Francisco
2 - Polito da Londra
3 - Franceschini da Mosca
4 - Panara da Tokio
5 - Barbieri da Francoforte
6 - Calabresi da NY
Sempre per alimentare la rubrica Amarcord, sarebbe bello, caro Feticista Supremo, riuscire a recuperare, sede per sede, tutti i nomi (ed il periodo di permanenza) dei corrispondenti avuti da Repubblica dalla sua fondazione.
Chiudo augurando a tutti una buona giornata della Libertà di Stampa. Io, pur malaticcio, scenderò in piazza con la mia bella copia di Repubblica sotto braccio. Hasta la victoria!

aghost ha detto...

concordo con barbapapà (non era il soprannome di scalfari? :)

Farei comunque una distizione tra gli inviati "di carta" e quelli televisivi.

Su carta ti devi sbattere un pochetto, in tv basta avere un po' di loquela e sei a posto, te la sbrighi in 3 minuti e puoi dire anche delle cretinate che tanto tra immagini di repertorio e di colore nessun ci fa troppo caso.

Barbapapà ha detto...

Si, caro Aghost, Barbapapà era l'affettuoso soprannome che i giornalisti di Repubblica avevano affibbiato al grande fondatore. Mi è quindi sembrato doveroso ispirarmi al grande Eugenio nel momento in cui ho scelto un nome de plume: un piccolo omaggio e ringraziamento per quanto ha fatto per l'informazione in Italia.
Per il resto, corretta la distinzione che fai tra carta stampata e tv. Questi ultimi sono in media più pigri e meno preparati, soprattutto in Rai.