giovedì 30 settembre 2010

C'è chi si mette nei panni di D'Avanzo.

E prova a scrivere al suo posto il pezzo di domani su Repubblica a commento del discorso di Berlusconi:


3 gennaio 1925. Una data, un pezzo di storia. Il giorno in cui Benito Mussolini s’assunse la responsabilità del delitto Matteotti dinnanzi ad una Camera schiacciata dal terrore che il fascismo incuteva. Sembrava di essere tornati a quel giorno, oggi, ascoltando le parole del Capo del Governo, come al solito impettito nel suo completo scuro di sartoria napoletana e con i capelli pettinati all’indietro, come si conviene al detentore del bastone del comando. Ciò che si è consumato poche ore fa è lo sfregio del luogo in cui si fa quotidianamente la democrazia. Un insulto a coloro che per quella parola sono morti. Ma questo, al Cavaliere per cui Mangano lo stalliere lavorava, non importa. A lui interessava unicamente marcare il territorio, mettere all’indice il nemico, il traditore. Sguardi preoccupati tra i ragazzi di Gianfranco Fini, sui quali pende ora la responsabilità del martirio: porre termine allo scempio di ogni regola costituzionale, a ogni lesione del vivere civile, ad ogni prepotenza del potere politico sulla giustizia, amministrata in nome del popolo sovrano. Sanno, essi, quanto grave sarà il passo fatidico. Ne sentono il peso, avvertono i rischi, sono consci che da domani pile e pile di dossier confezionati ad arte si abbatteranno sulle loro vite come pietre sulle loro teste. Ma la democrazia esige anche il sacrifizio, seppur estremo.
Certo, molti di loro hanno famiglia, figli e mogli da proteggere dai sicari mandati dal defloratore di giovani vergini a rovinarne l’esistenza. Il Presidente della Camera, figura super partes e terza carica dello Stato, lo sa bene. Privacy stuprata, compagna e cognato messi alla gogna come Tommaso Moro. Colpevoli di non arrendersi ai desiderata berlusconiani, di non sciogliersi davanti al ghigno rituale mostrato dal settantaquattrenne plutocrate lombardo. Addirittura un inchino.
E’ così che Silvio Berlusconi ha concluso il proprio comizio nell’Aula che fu di Giacomo Matteotti, di Piero Calamandrei, di Nilde Jotti e di Sandro Pertini. Un inchino, scena comica e teatrale di un istrione decadente il cui volto ormai non riesce a celare il passare degli anni, la lucidità sempre più blanda. Dopo aver corrotto orde di deputati deboli facendo leva sulla loro intrinseca fragilità, l’uomo che tutto può si avvia ad ottenere la fiducia.
I dossier sono serviti. Lo sporco lavoro dei sicari al di qua ed al di là dell’Atlantico si sono meritati un premio. L’Italia è morta.

Gli esercizi di stile di Nonunacosaseria sono decisamente un'altra cosa.

1 commento:

Barbapapà ha detto...

Questo tipo non ha fatto neanche il minimo sforzo di studiare la prosa di D'Avanzo.
Assolutamente necessario evitare qualsiasi riferimento ai leggendari Esercizi di stile del nostro Nonunacosaseria.